Il mio nome è Alfredo Salata. Classe 1996, sono nato a Padova, dove ho studiato presso il Liceo Scientifico Enrico Fermi. Ho sempre vissuto nei Colli Euganei. Sono cresciuto in una famiglia fortunata, agiata, e nonostante le difficoltà proprie di tutte le famiglie, ho sempre avuto tutto ciò che desiderevo.

Mia madre mi ha curato e dato ogni attenzione possibile – col senno di poi, anche più del dovuto. Mio padre, imprenditore, uomo intelligente e colto, seppure un po’ burbero nel carattere, mi ha trasmesso, o ha cercato di trasmettermi, l’amore per la natura, la cultura contadina, le tradizioni, e lo sport – in particolare la pesca, sua grande passione.

La cosa non gli è stata facile, perché da ragazzo non sono stato in realtà mai molto sensibile a queste cose. Sin da giovane, infatti, ho sviluppato un grande interesse per il computer, i videogiochi, e l’informatica, come molti ragazzi della mia generazione. E come per molti di loro, in adolescenza quella per il computer è diventata praticamente una dipendenza. Ne ho conosciuto e subito per anni il lato buio: l’isolamento, l’alienazione, la perdita di senso, la virtualizzazione dei rapporti umani, la deformazione delle aspettative verso l’altro.

La mia storia sin qui è quella di milioni di altri giovani della mia età. Non è colpa di nessuno: si trattò di un fenomeno sociale espressosi prima che chiunque potesse capirne il pericolo e la portata. Non davo segni di soffrire: i miei genitori non potevano fare altro che accettare, non senza fatica, che facevo semplicemente quello che faceva una buona parte dei ragazzi della mia età.

Da giovane uomo, però, questa solitudine aveva iniziato ad erodermi profondamente. Avevo circa vent’anni, ero al secondo anno di università, quando arrivai a perdere completamente la voglia di studiare, di uscire, di fare qualsiasi cosa. Dicevo di studiare, ma passavo lunghi pomeriggi steso a letto, a guardare il soffitto, aspettando che qualcuno dei miei amici arrivasse online per giocare a qualcosa; oppure nemmeno, spesso non avevo voglia neppure di quello. Non esagererei se dicessi che rischiai di perdere la mia vita.

Le cose però cambiarono, prima che fosse troppo tardi, probabilmente senza che io avessi alcun merito a riguardo. Nel 2017 la mia vuota routine fu riempita da due cambiamenti del tutto fortuiti.

Iniziai a lavorare con mio padre; prima part-time, e dopo poco full-time, abbandonando l’università. Il lavoro mi diede l’opportunità di relazionarmi quotidianamente con molte persone di una generazione forse più savia della mia – che mi diedero tanto. Scoprii che sapevo fare anche io delle cose, e pure bene. Essere in una azienda di famiglia fu una fortuna enorme, di cui non potrò mai essere abbastanza grato: ebbi maniera di esprimermi e di crescere rapidamente e provando moltissime mansioni ed esperienze diverse.

Nello stesso anno conobbi la mia splendida moglie Micaela, con cui sono sposato dal Maggio 2024, dopo sette anni di fidanzamento. Micaela fu la mia prima fidanzata. Ci conoscemmo ad una festa di un amico, ma abitava a circa due ore di viaggio da me. Il rapporto con lei fu anche esso un pretesto per tornare a vivere, a muoversi, anche concretamente: per cinque anni facemmo il tragitto quasi tutti i fine settimana. Ma più di tutto il nostro rapporto mi insegnò ad amare qualcosa che fosse fuori da me stesso. A porre fuori da me il senso della mia vita. Fu qualcosa di nuovo.

Pensare ai mesi precedenti questi eventi, e ricordarmi nella mia camera, solo a guardare il soffitto, senza nessun obbiettivo o voglia di andare avanti, mi fa capire quanto fui fortunato. Senza quelle due casualità, forse oggi non sarei qui.

L’azienda però non durò per sempre. Dal 2020, per quasi tre anni davvero impegnativi, mio padre ed io affrontammo una crisi aziendale legata agli eventi drammatici di quel triennio e alle ripercussioni che ebbero sull’economia del mondo. Come tanti imprenditori, non ci riuscimmo, nonostante tutti gli sforzi. Fu l’esperienza del fallimento. Vidi sfumare un progetto di vita e una storia di famiglia di cui avrei dovuto essere la terza generazione. Io mi sentii responsabile, mio padre si sentì responsabile; ma probabilmente nessuno dei due avrebbe potuto fare di meglio. A volte le cose semplicemente ci sono tolte.

Forse fu questa esperienza che mi aiutò a capire che, sebbene il lavoro e l’amore mi avessero trascinato fuori da quell’abbandono che avevo vissuto solo qualche anno prima, nemmeno queste cose bastavano. Dopo il fallimento, avevo iniziato un altro lavoro, e con buoni risultati, ma mi sentivo comunque vuoto.

Iniziai a provare lo stesso stato d’animo che avevo provato prima di iniziare il mio lavoro e di conoscere Micaela. Solo che questa volta non ero più solo: il rapporto con Micaela andava perfettamente, e avevamo già deciso di sposarci. Ma nonostante tutto mi sentivo ancora vuoto. E questo mi faceva sentire in colpa.

Non mi mancava l’affetto, né quello della mia futura moglie, né quello dei miei amici, né quello della mia famiglia. Né mi mancava alcunché di materiale, ma del resto non mi era mai mancato nemmeno prima: la mia famiglia mi aveva sempre dato tutto.

In passato, avevo creduto fosse stata la dipendenza dal computer a causarmi quel senso di solitudine e vuotezza, e forse allora, almeno in parte, si trattava di quello. Ma adesso c’era qualcos’altro: lavoravo e avevo iniziato a vivere con Micaela, avevamo persino una piccola fattoria. Non utilizzavo quasi più il computer.

Capii che mi mancava qualcosa di fondamentale, qualcosa che non poteva essermi dato né dal benessere materiale, né dall’affetto delle persone care.

Un giorno, mentre lavoravo da casa, mi sentii di non poter continuare a ignorare il problema. Istintivamente presi carta e penna, ed iniziai a scrivere ciò che sentivo.

Fu allora che mi resi conto che non sapevo chi ero. Non sapevo perché vivessi, perché dovessi fare qualsiasi cosa in questo mondo. Mi resi conto che tutto ciò che avevo e che ero poteva sparire da un momento all’altro, e che sarebbe certamente sparito senza lasciare alcuna traccia nel giro di sessanta o settant’anni. Persino l’amore con Micaela, che in quel momento era realmente il centro della mia vita, sarebbe semplicemente finito assieme a noi.

Sì, ora stavo bene, ma prima o poi avrei perso tutto. Come il Tempo si era preso l’azienda di famiglia, si sarebbe preso prima o poi tutte le persone e le cose che amavo. Non era una possibilità, ma una certezza: l’unica variabile era il come o il quando.

Ma allora che senso aveva tutto questo? Perché affezionarsi alle persone e alle cose, solo per vederle sparire?

Fu in quel periodo che accaddero una serie di strane coincidenze. Non ricordo per quale ragione, mi capitò di trovare online un libro di G.K. Chesterton: L’Uomo Eterno. Lo lessi, mi colpì, ma non sarebbe bastato a farmi intraprendere la via che poi ho intrapreso. Ma accadde dell’altro.

Come ho accennato, Io e Micaela in quel periodo avevamo cercato di avviare una piccola azienda agricola, e questo ci dava l’opportunità di conoscere molte persone. Conoscemmo quasi per caso diversi cattolici, e poiché volevamo sposarci ma non avevamo ancora deciso la data, alcuni ci consigliarono un corso per fidanzati in un certo posto vicino a dove abitiamo. Poi sentimmo nominare quel posto in una occasione del tutto non correlata, e poi ancora, più di una volta.

Una serie di coincidenze, di casualità. Spesso però quello che chiamiamo caso non perde in verità nell’essere chiamato destino, oppure, come si diceva una volta, Provvidenza.

Fu così che, affamati di un significato più grande per il nostro amore, un significato che superasse l’effimera esistenza che ci è dato di vivere in questo mondo, io e Micaela incontrammo la fede.
Dio, Gesù Cristo, entrò nelle nostre vite all’improvviso, senza preavviso. È passato poco più di un anno, eppure fatico a ricordarne i passaggi: tutto accadde velocemente, eppure in maniera così logica, ovvia, ordinata.

La notte della vigilia pasquale 2024, fui cresimato: il matrimonio cristiano con Micaela seguì poco più di un mese dopo.

Questo percorso ha cambiato totalmente la mia visione della vita, di me stesso, e del mondo. Ora tutto è avvolto di una Luce vivida e vivificante, e tutto è ricco di significato: ma ciò non significa che io abbia scordato il buio.

Un buio fatto di insensatezza, di paura, di vuoto, di solitudine. Un buio fatto di una visione del mondo svilente e deprimente, dalla quale l’unica salvezza possibile sembra la ricerca isterica e folle della distrazione, del consumo incessante di oggetti, esperienze, relazioni. Un buio fatto di impermanenza, di disfacimento continuo, di un tempo in fuga verso il completo oblio. Un buio che neppure la mia famiglia, con tutto l’amore e le cure che mi aveva dato, poteva dissipare. Un buio che neppure la luce umana dell’amore con Micaela poteva illuminare; perché si tratta di un buio dello spirito.

Ho capito che quel buio deriva da una società che a tutti i livelli, nella scuola, nella cultura, nell’intrattenimento, insegna ai propri figli che essi sono un nulla, sorto dal nulla e al nulla diretto, e li plagia sino a convincerli che questa idea sia l’unica razionale, ragionevole, scientifica.

Nessuna forza umana può trascinarci fuori da questo buio, una volta che gli consentiamo di avvolgerci. Non ha il potere di farlo la famiglia; né l’amore, né il lavoro: ogni cosa ci tiene vivi il tempo di diventare vecchia, e poi dobbiamo sostituirla, pena renderci conto del vuoto in cui siamo immersi.

Eppure qualcosa – anzi, Qualcuno – ha tirato fuori me e Micaela da quel buio, e lo ha fatto attraverso persone che, forse nemmeno consapevolmente, si sono prestate alla Sua opera. Le persone che abbiamo incontrato, che ci hanno accompagnato nella conversione, che hanno sanato i nostri dubbi.

Ma il mondo rimane nella tenebra. Come il me di appena un anno fa, milioni di uomini e donne vivono chiedendosi perché debbano farlo; oppure accontentandosi di saltare da una distrazione all’altra pur di ropprimere questa domanda. Vanno avanti, senza sapere quale sia il senso di tutto questo, chi siano o perché siano, forse sperando che un giorno, qualcuno arrivi a dirglielo.

Per questo motivo che ho deciso di dedicare la mia vita, al limite di ciò che mi è possibile, per essere testimone dell’unica Luce che può spazzare via il buio del nichilismo – e ho deciso di farlo attraverso una passione a lungo sopita, la scrittura.

Questo è Verbum Caro, il mio spazio online. Qui pubblico storie, riflessioni e articoli ispirati dalla mia fede cristiana, nella speranza che le mie parole possano essere una piccola luce, che aiuti coloro che mi leggeranno a vedere la vera Luce.

Perché sono convinto che finché esisterà anche un solo uomo disposto a farsi modesto lumicino, il buio non potrà mai essere completo.

Tutta l’oscurità del mondo non può spegnere la luce di una singola candela. – S. Francesco da Assisi