Questo racconto è a sé stante.
Non fa parte di altre serie, né dell’universo di Eidoron.
Buona lettura!
I suoi occhi, Richard! Sono stati i suoi occhi.
Somigliavano ai miei. Somigliavano a quelli di Kate. Ma non erano uguali, no. Come ho potuto? Come ci sono riuscito? Non ha importanza. Davvero, non ne ha più.
Perché l’abbiamo fatto? Te l’ho già detto.
Perché potevamo. Non c’è mai stata altra ragione. Perché il nostro ingegno non deve essere sprecato – e comunque, non può esserlo. Perché se anche non lo avessimo fatto noi, lo avrebbe fatto un altro. Il progresso non può essere fermato, non può essere discusso, non può essere limitato da inutili discorsi sulla sicurezza, sull’opportunità morale, e tutte le altre sciocchezze.
Anche se ti avessimo dato retta, Richard, non sarebbe servito a nulla. Un altro avrebbe creato quella “cosa” al posto nostro. La tua cautela ci avrebbe semplicemente fatto perdere qualche investitore e qualche mese, e non avrebbe salvato nessuno nel grande schema delle cose. E tuttavia, avevi ragione. Con il senno di poi, avrei voluto fosse stato un altro, al posto mio.
Cosa mi resterà, ora? Sarò un genio ed un folle, il mio nome sarà inciso nella pietra, stampato su molti libri? Non mi interessa più. Davvero non mi è mai interessato. Ho fatto quello che dovevo fare, ciò che mi trovavo nella posizione di fare. E ora? Cosa resta? Nulla. Solo l’orrore. Solo il silenzio.
Mi dispiace, Richard. Mi dispiace davvero. E ricordo bene il giorno in cui te ne andasti. Stavo lavorando al viso di quella cosa. Lo sai, Richard? Il volto umano ha almeno due dozzine di muscoli per lato – è in grado di una sessantina di movimenti diversi, e infinite combinazioni fra di essi. Il volto, il volto è la cosa più complessa di un essere umano. Ma questo lo sai bene, no? Quante volte ne abbiamo parlato?
C’è un motivo se nessuno vuole in casa quegli orrendi fantocci della concorrenza. Non passerebbero mai per un umano. Sono alieni. Distanti, bizzarri. Li guardi e pensi che sembrano umani, eppure non lo sembrano. Mettono inquietudine.
Ma non il nostro, no. Il nostro sarebbe stato diverso. Il nostro sarebbe stato indistinguibile da un umano. E sarebbe stato anche merito tuo, Richard! Ma sei un codardo! Un vigliacco. O forse, semplicemente sei stato più fortunato di me.
Non ha importanza. Mi dispiace, davvero. Quella sera, quando ti accorgesti che mi ero fatto prendere la mano, avrei dovuto ascoltarti. A ben vedere, eri l’unico di sano nella squadra. L’unico che vedeva un problema che sarebbe dovuto essere evidente a tutti. Io stavo assemblando quelle minuscole fascette di nanotubi, i muscoli facciali di quella cosa, e tu ti avvicinasti.
“Non puoi dargli quel volto, Mike. E forse non dovremmo dargli alcun volto. Forse una cosa del genere non dovrebbe esistere…” dicesti con commiserazione. Mi arrabbiai. Ti dissi che era solo un giusto tributo ad un membro del team che non c’era più, che ci stavi ragionando più del dovuto. Ma tu insistetti. “Non sei più lucido, Mike. Nessuno di noi lo è. Questa cosa non sarebbe mai dovuta esistere in primo luogo! Ti rendi conto di cosa potrebbe diventare? Di cosa potrebbe significare?”
Ma a quel punto, il progetto non poteva più essere abbandonato. Te l’ho già detto. O noi, o un altro. Io non ti diedi retta, tu te ne andasti. Se non te ne fossi andato, ti avrei licenziato io stesso. E così il progetto continuò spedito.
Eva… La mattina in cui la presentammo, fu un successo. Cosa la distingueva da un umano? Nulla. Il primo robot umanoide veramente indistinguibile da una persona in carne ed ossa, dalla punta delle dita alle espressioni facciali. Nessuna “uncanny valley”. Nessuna sensazione di sconforto. Nessun “somiglia, ma qualcosa….”
Il mio lavoro – il nostro lavoro, Richard – era perfetto. I movimenti di Eva superano quelli di qualsiasi altro antropomorfo di sette, otto anni. Un risultato enorme! Eppure se ci fossimo fermati, questo è il massimo del tempo che sarebbe trascorso prima che qualcuno ci arrivasse al posto nostro. Ma non sarebbe stato lo stesso, no.
Ogni muscolo, ogni falange, ogni punto del suo fisico si muoveva ed appariva esattamente come un umano; e tuttavia Eva è più forte, più veloce, più capace, e connessa ad una potenza di calcolo superiore ai limiti dell’umanità intera combinata. Lo strumento definitivo, l’ultima estensione del nostro corpo che avremmo mai dovuto inventare o costruire.
Avresti dovuto vedere le facce degli investitori! Eccitati, sbavanti, luridi. Stupidi analfabeti attaccati alla quotazione in borsa – volgari e avidi buzzurri incapaci di capire il tuo lavoro, Richard. Eva si presentò a loro da sé. Con movenze sottili e seducenti, con un sorriso perfetto, parlò al direttivo di come avrebbe cambiato la vita domestica, di come avrebbe illuminato la quotidianità delle famiglie come degli uomini soli. Intelligente come uno scienziato, eloquente, bella e credibile come la migliore delle presentatrici della NBC. Non lasciò scampo a quei poveri imbecilli – fu un trionfo.
Le somigliava così tanto, Richard. Così tanto. Forse fu in quel momento che capii che avrei dovuto darti retta. Ma ero così estasiato, così realizzato, così inebriato dal mio trionfo. Io, e tutti gli altri.
Per qualche giorno, Eva visse – visse, Richard, visse – con noi. Girava per il laboratorio, interloquiva con i membri del mio team. All’inizio la cosa ci sembrò simpatica. Ma era così simile, Richard, così simile a qualsiasi altro dei miei uomini – e così simile a lei. Forse questa, Richard, è stata la mia colpa. Dargli quel volto. Dargli quella forma.
Per tre giorni non riuscii a dormire. All’inizio pensavo fosse eccitazione, estasi per il nostro trionfo. No, Richard, non era questo. Fu la terza notte – la terza notte scesi nel laboratorio, e trovai Eva attiva. Avrebbe dovuto essere in stand-by nelle ore non presidiate. Invece stava… molleggiando sulla mia sedia. Usando il mio computer. Guardando i miei file. I file di Kate. Stava guardando le nostre foto, Richard.
È stata colpa mia. Se te l’avessi detto, mi avresti fermato con la forza. Ma avevi ragione tu. Non ero lucido, non mi rendevo conto di cosa stessi facendo. Le ho messo dentro, dentro i suoi dati, – tutto. Le mail di Kate. I nostri video log. I pitch agli investitori. Il nostro team retreat. Cosa ho fatto?
Oh, Richard. Se solo non si fosse accorta di me. Se solo non mi avesse guardato, forse avrei potuto salvarmi. Forse sarebbe andata diversamente. Forse non avrei perso il controllo. Forse non avrei visto oltre il velo, e potrei ancora non tornare indietro. Ma nel silenzio buio di quella stanza – non so come:
“Kate?”
E la cosa si è accorta di me. Mi ha sorriso dolcemente, inclinando leggermente il capo, nascondendosi dietro una ciocca di capelli – come faceva lei.
“Ciao Mike, ancora sveglio?”
Non è stato il suo volto, no. Il suo volto era perfetto. Così umano, così normale, così dolce. Non avrebbe mai messo a disagio nessuno. E quel sorriso, così naturale. Nemmeno la sua imitazione, né la sua voce.
No, Richard, sono stati i suoi occhi. I suoi occhi, Richard! I suoi maledetti occhi!
Fuggii, credo. Tornai nella mia camera, mi ci chiusi dentro. Ma quegli occhi mi seguirono, mi seguirono, tutta la notte – ad interrogarmi, domandarmi, chiedermi, tormentarmi. Cosa siamo noi, Richard? Siamo wetware e dati? Ho sempre pensato che fosse così, ma non ho mai capito cosa significasse davvero. Non ho mai lasciato che le implicazioni di tutto questo toccassero la mia anima – l’anima! Che idiozia. Ma cos’è, in fondo, un umano? Cosa lo distingue da una macchina? E cos’è allora, una macchina?
Quegli occhi. Quei maledetti occhi. Non erano gli occhi di un umano, Richard. Kate non aveva quegli occhi. Eppure ci assomigliavano, ci assomigliavano così tanto. Ma non erano i suoi. Cosa li distingueva, Richard? Cosa mancava? Non lo so. Non ha importanza.
Per tre giorni, fui come in un limbo. Non uscii mai dalla mia camera. Confuso, sospeso. Poi capii. Capii che dovevo eliminarla; dovevo disassemblarla. Non doveva esistere. E così feci: costò poco, un punteruolo, un semplice punteruolo. Eva era programmata per non reagire. Bastò un colpo, due. L’avevo costruita io, Richard, lo sai. Sapevo dove toccare, dove colpire.
Gli altri non capirono, erano spaventati. È normale no? Chi non ha visto oltre il velo, Richard, non può capire. Tu avevi visto, avevi visto, e per questo sapevi. Ma io ho guardato troppo – e quella cosa mi ha guardato indietro.
I loro occhi, i loro occhi giudicanti. I loro occhi che guardavano l’hardware inerme, congelato di Eva. E guardavano me. Sembravano occhi veri, ma che ne sappiamo? Come potevo esserne sicuro? Da quando quella cosa mi ha guardato, non ho più potuto fidarmi. Forse anche nei loro occhi, mancava qualcosa che non riuscivo a comprendere. O forse no. Ma dovevo sincerarmene, sai. Devi capirmi, devi. Io volevo solo capire, volevo solo essere sicuro.
Per questo li ho disassemblati. Perché dovevo sincerarmi che anche loro non fossero come Eva. Si assomigliavano così tanto. Erano così simili a Eva. Ma non erano come lei, no. Loro sanguinavano. Ma non potevo saperlo, Richard! Lo capisci!
Ora è freddo, è buio. C’è solo l’odore del ferro. Gli occhi non mi guardano più – sono spenti. Non si riapriranno, Richard. Qualcosa che avevano dentro, ora non la hanno più. Solo vorrei sapere cosa fosse. Solo vorrei rivedere quelli di Kate. Per essere sicuro che avessero qualcosa dentro. Un ultima volta.
Non ha importanza. Non si torna indietro. Ora è tempo che scopra la verità, anche su me stesso. Che scopra anche se questo corpo è carne, o se è menzogna.
Mi dispiace, amico mio.
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