Nell'abisso della morte, nel profondo del buio, le anime degli uomini vagano indistinte, sole, desolate. Ma le porte degli inferi sono improvvisamente scardinate; e una luce inizia a riempire la tenebra.

Hieronymus Bosch – The Garden of Earthly Delights (Dettaglio)

Olio su tavola, 1490-1510. Museo del Prado, Madrid. Immagine in alta risoluzione disponibile su Wikimedia Commons.

Questa immagine è un dettaglio di un trittico più grande, incredibilmente ricco e unico, di Hieronymus Bosch. Non commenterò la tavola in sé, anche perché non ho assolutamente la competenza per commentare un’opera del genere. Tuttavia vi spiegherò la scelta di questo dettaglio.

Questa piccola scena è inserita in una sezione del trittico dedicata all’inferno. Mi è capitato per caso, e non riesco più a reperire dove, di trovare questo dettaglio associato all’idea che possa rappresentare l’anastasi, la discesa di Cristo agli inferi.

È forse un’interpretazione opinabile, perché il contorno di questo dettaglio è la città infernale da cui, in più punti, si alzano delle fiamme. La luce dietro l’entrata della muraglia in questo dettaglio potrebbe quindi essere semplicemente un fuoco come gli altri. Tuttavia in questo dettaglio la luce sembrerebbe meno rossa e più dorata; vi è inoltre una figura sulla porta che, contrariamente alle forme che vediamo affiorare dall’oscurità, è vestita in colori vividi. Forse, un angelo?

In ogni caso, ho pensato che se fosse effettivamente una rappresentazione dell’anastasi, sarebbe una rappresentazione incredibilmente meravigliosa. Nell’iconografia classica, il centro dell’anastasi è sempre Cristo: che abbatte le porte degli inferi, che schiaccia il demonio (o Ade), e che trascina Adamo ed Eva, assieme ai Patriarchi, fuori dai sepolcri. Ad esempio, come in questa splendida rappresentazione nella Chiesa di Chora, ad Istanbul.

Una rappresentazione classica della anastasi nella Chiesa di Chora. Cristo abbatte le porte degli inferi, schiaccia il demonio (o Ade), e trascina Adamo ed Eva, assieme ai Patriarchi, fuori dai sepolcri.

Invece, nella interpretazione di Bosch, ammesso che sia davvero l’anastasi il soggetto, il protagonista sarebbe un altro: le anime nello Sheol, in procinto di essere salvate dal Cristo.

Infatti la scena che vediamo sembra essere l’istante prima di ciò che è tipicamente rappresentato nella iconografia tradizionale. Le porte sono appena state abbattute, e la luce sta avvicinandosi dissipando le tenebre, ed una figura – che però non è la fonte della luce, come detto, potrebbe essere un angelo – si affaccia dall’entrata dello Sheol.

A questo punto si compie il dramma magnifico di questa scena: la luce colpisce delle figure, le anime in attesa, e colpendole le rende visibili e distinguibili. Ciò che prima era avvolto nella tenebra, impossibile da apprezzare o vedere, proprio perché colpito dalla luce del Cristo diventa vivo, individuo, distinto. Noi vediamo la scena dall’interno dello Sheol, come se fossimo parte di questo buio, e ricevessimo anche noi il dono di questa Luce salvifica.

Mi sembra che questo tipo di rappresentazione colga e amplifichi incredibilmente il significato archetipico della discesa di Cristo agli inferi: cioè mostri vividamente ciò che questo racconto teologico può rappresentare nella nostra vita, per il nostro rapporto con la fede, per l’effetto che Cristo può avere su di noi.

Da soli, noi siamo come le anime dello Sheol. Immersi in un buio, in un cosmo insensato, dove regna la totale assenza di senso o di scopo, l’inesistenza reale del male come del bene, dove esiste solo una cieca, spietata indifferenza, parafrasando le parole del biologo e attivista ateo Richard Dawkins.

In una vita priva di qualsiasi profondo valore e significato, di qualsiasi bene oggettivo e di qualsiasi giustizia, siamo come indistinti l’uno dall’altro: vaghiamo incapaci di conoscerci e riconoscerci veramente, incapaci di trovare qualcosa che separi realmente noi dal buio che ci circonda.

Ma questo buio è squarciato quando nella nostra vita entra il Cristo. Divelte le porte degli inferi, Egli illumina l’oscurità, rende chiari i contorni, ci trascina in un universo con uno scopo glorioso, dove ogni nostro passo è profondamente significativo; dalla morte, sorge la Vita.

Mi è parso dunque che questa immagine fosse perfetta per accompagnare la quinta lettera di Martinius, che riflette proprio sull’abisso della condizione umana in riferimento alla sua finitudine, e su come la fede, e la speranza che viene da essa, siano luci in grado di colmare persino questo abisso.


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