La luce irrompe tra le nuvole su un vascello arenato.

Kyeros, La Città Risorta

Questo racconto fa parte delle Lettere di MartiniusSe non conosci la serie, comincia dal prologo.

Agata, 4 Agosto. A.D. 1800.

Martinius saluta i suoi Principi ed il suo Re.

Miei amati Farwic e Malwic,
Oggi sono tornato ad Agata, dopo qualche giorno speso a nord, nella città di Kyeros, alla quale avevo accennato nella mia scorsa lettera – che probabilmente non avete ancora ricevuto. È con un tono diverso dalla mia ultima missiva che vi scrivo oggi: il soggiorno a Kyeros ha davvero giovato al mio animo, e, ancor più, mi ha rallegrato ricevere, al mio ritorno ad Agata, la vostra lettera.

È stranamente buffo leggervi e rispondervi sapendo che alcune delle mie lettere devono ancora raggiungervi. Mi sembra quasi che il viaggio, in un certo modo, ponga il viandante in un tempo diverso, quasi separato da coloro i quali lo attendono a casa. Forse, anche da questa strana impressione si può cogliere un insegnamento: ed è riguardo al viaggio, non necessariamente geografico, che è l’essenza della vita. Dobbiamo, ad un certo punto, sforzarci di lasciare nostra casa per partire alla ricerca di qualcosa, non necessariamente fisicamente, con le nostre gambe, ma soprattutto col cuore o con la mente.

Chi è in ricerca, figli miei, vive un tempo in movimento; un tempo di crescita, di perfezionamento, di sfida continua. Questo è il tempo della vita: ed è vivendo in questo modo che possiamo porci fuori dal tempo stesso. Non è forse vero che lo scorrere delle ore o dei giorni non ci colpisce nemmeno, quando la nostra vita è in movimento verso un obbiettivo chiaro? Invece chi ritiene concluso il suo viaggio, chi si contenta della fermezza, scopre presto di non poter ignorare il tempo. Un tempo che diventa pesante, interminabile, opprimente; eppure che non ha il minimo sapore di eternità: è un tempo di morte.

Dunque mi ha fatto piacere leggere di come vi abbia colpito la vicenda degli Eroi di Knossos. Anche questo è un aspetto fondamentale dell’eroe: mettersi in moto, agire; non attendere l’incombere del fato. Chiaramente, miei giovani, dovete prestare attenzione a non inseguire la vacuità del mondo, oppure il vostro viaggio si concluderà inevitabilmente nella disperazione, quando vi accorgerete di non aver cercato che cenere e polvere. Cercate invece il Bene sopra ogni cosa, e da esso deriverete il vostro percorso.

Ma in ogni caso, sappiate questo: aver dedicato la vita ad inseguire la cosa sbagliata, sarà sempre migliore di averla sprecata attendendo il nulla.

Ciò detto, il nulla alle volte si accanisce su di noi senza che vi sia alcuna nostra colpa. Nella mia scorsa lettera vi ho parlato della morte; di come questa colpisca improvvisamente, crudamente, indiscriminatamente, ed interrompa il viaggio della vita senza offrire giustificazione e possibilità di appello. È valsa la pena soffermarsi su di essa e sulla pesantezza che porta al nostro cuore, perché questo è il modo sommo per capire e apprezzare davvero il valore della vita. Tuttavia quest’oggi vi parlerò invece della resurrezione, e di come essa non sia solo la prospettiva finale ed estrema della nostra vita terrena, ma la realtà che essere ancorati al Bene ci offre ogni giorno come reazione al male.

Dunque oggi vi racconterò la storia di un altro eroe, un po’ diverso dagli eroi di Knossos. Un uomo che sentì chiaro e palpabile il sapore della morte, ma con grande coraggio decise di sottrarsi ad essa: e così salvò con sé questa intera regione. Questo racconto risale a cinque secoli fa, e più precisamente all’inizio della Seconda Guerra degli Stregoni, ed ancora una volta, il desiderio di presentarvelo mi è stato suggerito da un incontro avuto lungo il cammino.

Tre giorni fa raggiunsi Kyeros, accompagnato dal Patriarca Agustus. Il Patriarcato Speciale del Mare Medio è in realtà al momento senza Patriarca, giacché il precedente è mancato per vecchiaia poche settimane fa. Del coordinare le faccende ordinarie, si sta occupando l’ufficio di Agustus, in attesa della conferma di una nuova nomina da Lavinium. Anche per questo, ed avendo già constatato l’impeccabile guida di Agustus, la visita qui è stata molto più serena e sbrigativa: tanto che ho concesso al mio equipaggio di rimanere ad Ilion per dei giorni liberi, e ho raggiunto Kyeros solo, assieme al Patriarca.

Kyeros è una città davvero molto simile a Knossos. L’architettura è praticamente la medesima, e cambiano solo i colori. Le case, in pietra vulcanica smussata, differiscono solo per la tinta più rosacea della roccia di questa regione. Le abitazioni presentano gli stessi tetti, o a terrazza o a cupola, che nel secondo caso sono qui dipinti con un colore smeraldino, ricavato, come per l’azzurro di Knossos, da un corallo molto comune nel fondale locale. La costa non è a scogliera, ma sabbiosa, e questo carattere pianeggiante conferisce a Kyeros un aspetto più accogliente e sereno. Tuttavia, il porto è davvero molto simile: costituito da una grande piazza, da cui si staccano una dozzina di moli, che come braccia di un polipo o rami di un pioppo, si stendono verso il mare.

Anche la piazza di Kyeros è decorata da una grande statua, ed anche in questo caso ad esservi raffigurato è l’eroe di questo luogo. La statua è accompagnata da una targa: Al Patriarca Agustus, colui che è morto e da morte è risorto; nella città che morì e, per lui, da morte risorse.
Leggendo la targa, mi rivolsi con sguardo interrogativo all’Agustus che mi accompagnava. Egli sospirò – “Fermiamoci un poco,” – mi disse. Ci sedemmo vicino alla statua, su una delle panchine che decorano la piazza, ed il patriarca cominciò a raccontare.

L’uomo raffigurato, ovviamente, non è lui, ma qualcuno da cui ha preso in prestito il nome. Come ho detto, la vicenda risale alla Seconda Guerra degli Stregoni, e come tutto ciò che riguarda quella terribile pagina della storia, la memoria sopravvive timidamente, tra racconti condivisi sottovoce e archivi abbandonati che pochi hanno il coraggio di rispolverare. Tuttavia, questo è praticamente un racconto fondativo per Kyeros, e gli abitanti della città tengono a tenerne viva la memoria.

Dunque ci troviamo nell’anno milletrecentosei, in quel terribile quinquennio che cambiò totalmente la faccia del nostro continente, e consegnò la stregoneria alle polveri della storia. La guerra già da due anni infuriava nel nord, e minacciava di estendersi a sud, nei territori controllati allora dalla Lega Santa. Kyeros era allora un porto importante, l’approdo principale per coloro che dall’entroterra a sud delle Grandi Montagne si dirigevano a Ilion, ed era un punto nevralgico di passaggio per le numerose merci che Ilion, ancora relativamente preservato dal conflitto ed economicamente fiorente, produceva e forniva alla Lega per gli sforzi di battaglia; e questo finì per attirare l’attenzione degli stregoni.

Viveva, a Kyeros, un uomo di nome Marius, originario dell’entroterra, ma stabilitosi a Kyeros per vantaggio economico. Era infatti un mercante capace, già ricco prima del conflitto, ma arricchitosi anche maggiormente durante la guerra, supportando il traffico di merci con una flotta privata accumulata nel tempo. I racconti lo descrivono come un uomo misurato, non dedito agli eccessi, ma comunque mondano: la gioia della sua vita era la sua impresa, il suo lavoro, la sua famiglia, e gli svaghi che la sua ricchezza gli consentiva di procurarsi. Non era un uomo di fede, né dedito al prossimo o interessato alla società: bastava a sé stesso. I suoi possedimenti, e la sua famiglia, motivavano la sua vita, e non era in cerca di altro. Tutto questo, però, cambiò bruscamente proprio per quella guerra che lo aveva così smisuratamente arricchito.

La mattina del nove agosto milletrecentosei, dodici figure umane apparvero nel cielo sopra Kyeros. Un canto lontano, una invocazione di morte, riempì l’aria: il cielo divenne scuro, ed energie di natura indefinibile volteggiarono sopra la città. Il panico non fece a tempo a diffondersi: una piccola luce comparve sopra le case, un singolo punto luminoso. L’istante successivo, una palla di fuoco travolse ogni cosa; immensa, violenta, distruttiva: non risparmiò nulla. Kyeros fu rasa al suolo in un istante.

Uomini, donne, bambini, vecchi, animali: tutto fu incenerito. Le case furono rase al suolo, il porto ridotto a macerie, le navi in approdo sgretolate e consegnate agli abissi, assieme ai cadaveri carbonizzati dei marinai. La più terribile guerra della nostra storia era giunta infine anche all’estremo sud del mondo; e gli stregoni che l’avevano portata, convinti di aver troncato l’arteria che portava linfa di guerra alla Lega Santa, sparirono, senza consegnare alla storia il loro nome.

Marius si trovava in un magazzino sotterraneo, e fu tra i pochi uomini che il fato risparmiò. Quando riuscì ad affiorare dalle macerie che gli erano crollate addosso, era già calata la sera. Ciò che videro lui ed i pochi operai che con lui si trovavano, emergendo dalla terra, lo possiamo difficilmente immaginare. Attorno a loro, non vi era che fumo nero, rovina, e l’odore acre della carne carbonizzata. Marius capì istantaneamente di aver perso ogni cosa: la sua flotta, la sua casa, i suoi magazzini. Il lavoro di una vita era stato spazzato via in un istante. Stravolto ed attonito vagò disperatamente alla ricerca di qualcosa che lo potesse tenere in vita, sino a che non raggiunse delle macerie diverse dalle altre: quelle della sua casa. E lì, tra le pietre fumanti, i cadaveri carbonizzati dei figli e della moglie.

Le sue ginocchia cedettero, cadde a terra. Capì che la sua vita era finita. Non era importante che suo cuore battesse ancora: tutto ciò che lo avesse mai definito, che gli avesse mai dato un significato, un motivo di essere vivo, era stato spazzato via. La gola gli si strinse, le sue grida, strozzate da un singulto irregolare, riempirono l’aria irreale di quell’inferno in terra. Allora accusò tanto gli inferi quanto il cielo, maledicendo tutto ciò che lo circondava e persino sé stesso, per essere sopravvissuto. In verità, egli stesso era ferito, e non superficialmente: nel pieno della sua disperazione, pensò che gli sarebbe bastato abbandonarsi lì, fra quella cenere soffocante, fra sua moglie ed i suoi figli, e lasciarsi morire. Così sarebbe finita la sua storia, nella maniera più logica e desolante.

Ma nel punto più basso del suo delirio, Marius alzò gli occhi dal terreno. Dinnanzi a sé, vide apparire qualcosa di inaspettato: una figura di uomo, ammantata in un velo scuro, dal volto indistinguibile. Eterea e solidissima, angosciante e rassicurante, cupa e radiosa, dolce e terribile: tutto allo stesso tempo.
In preda alla confusione, strisciò fino alla figura, si aggrappò alla sua veste, e la pregò di ucciderlo; di liberarlo da quel suo tormento. La leggenda riporta le parole di quell’entità – forse un demone, forse un Eido, o forse la manifestazione di qualcosa di più grande ancora.

«Di che ti lamenti, Marius? Non ti fu forse detto,
Ricorda che tutto fu dalla polvere,
e polvere tornerà ad essere;
Cenere a cenere, vuoto senza fine,
vacuità delle vacuità.»

Si tratta di un canto antico, ancora ricordato nella nostra liturgia. Marius strattonò la creatura con forza, mentre una rabbia che non conosceva si faceva strada fra le sue lacrime: «Se non vuoi uccidermi, dimmi allora cosa dovrei fare!»

Vi fu un istante di profondissimo silenzio. Poi la figura alzò un braccio, e posò su di Marius l’indice ed il medio, stesi in benedizione: «Tu sei Agustus, colui che è morto e da morte è risorto. Ricorda, Agustus: i cieli si sgretoleranno, la terra si aprirà sotto i tuoi piedi. La parola che Io ti do, essa sola rimarrà in eterno

Pronunciate queste parole, l’uomo sparì, lasciando Marius solo, in ginocchio e sconfitto, avvolto da quell’aria scura e gravida di polvere. Così stette, forse per minuti, forse per ore, mentre quelle parole risuonanti nella testa gli impedivano di lasciarsi morire.
Poi, come posseduto da uno spirito, Marius si rialzò. La leggenda racconta che di lì recuperò gli uomini con lui sopravvissuti e li scosse dalla disperazione, e che tutti lavorarono incessantemente sotto la sua guida per estrarre i feriti dalle macerie, per realizzare alloggi di fortuna, per riorganizzarsi. Marius assunse il nome di Agustus, dedicandosi con assiduità a guarire non solo le ferite fisiche ma spirituali dei sopravvissuti, dei vedovi e delle vedove, degli orfani, degli abbandonati. Il suo carisma e la sua fama si diffusero nella regione, attirando coloni dai villaggi vicini, che arrivarono con aiuti e beni necessari per ricostruire. La città risorse.

Grazie alle sue capacità e alla sua storia, Agustus diventò il capo di fatto della nuova città, ma non volle il potere per sé: decise di consacrarsi, e fu dichiarato Patriarca di Kyeros – oggi, il suo è diventato il Patriarcato Speciale del Mare Medio. La sua leggenda si mescola poi con la Storia: la città ricevette l’aiuto della Lega Santa, che contribuì a fornirle protezione, riconoscendone il valore strategico. La ricostruzione del porto, e dunque la ripresa delle tratte commerciali, fu fondamentale per il proseguire della guerra e per la vittoria della Lega sugli stregoni, ma ciò non fu una conseguenza immediata. Negli anni successivi infatti il conflitto si espanse nuovamente all’estremo sud, toccando persino Agata: in quell’epoca di dolore e caos, molti altri sono gli episodi attribuiti al nome di Agustus, che oggi è venerato come santo ed eroe della città.

Dunque, miei giovani principi, questa è la storia. Prima di condividere con voi qualcuna delle mie riflessioni, però, lasciate che vi racconti come si concluse questo racconto dell’altro Agustus, dalla cui bocca ho sentito la storia. Torniamo dunque al nostro breve riposo nella piazza del porto, seduti dinnanzi alla statua. Terminato il suo racconto, il Patriarca si trattenne in un lungo silenzio, che fui io a rompere. «Dunque, per quale ragione avete scelto per voi il nome di quest’uomo?», gli chiesi.

Agustus sospirò, e mi apparve meno rigido ed austero di quanto non lo fosse stato gli altri giorni trascorsi assieme. Poi, condivise con me la sua storia. La vita consacrata non era, in principio, nei suoi piani. Nacque col nome di Nico, in una famiglia benestante: visse una gioventù agiata e serena. Da giovane uomo, si innamorò perdutamente di una ragazza del suo paese, di nome Erica, ed i due si sposarono. Poco dopo, però, il fato volle portargli via in un unico incidente il padre e la madre, a cui era molto legato. Nico ne fu profondamente scosso, e tuttavia l’amore di Erica lo sostenne.
Prese in mano l’azienda di famiglia – un importante possedimento agricolo – e dimostrò ottime capacità di governare il capitale lasciatogli, mantenendo fiorenti ed in salute le sue proprietà. Al centro di ogni suo sforzo, comunque, vi era lei: la donna che amava, e che lo motivava a preservare lo status della propria famiglia.

Appena ad un anno dalla morte dei genitori, Erica concepì un figlio, e questo riempì Nico di gioia e fervore, portandolo ad un impegno ancora maggiore nella gestione dei suoi affari. La sua famiglia sembrava fiorire, ma il destino aveva altro in serbo per lui.
Il parto ebbe una grave complicazione. Il bambino morì istanti dopo il parto, ed Erica subì una grave emorragia che diventò sepsi. Dopo pochi giorni, anche lei se ne andò. Quando lo lasciò, sorrideva: gli disse di non avere paura, una frase che capì solo molti anni dopo.

Nico cadde in una profonda depressione, che anestetizzava solo con il vino e l’ouzo. Non ci volle più di qualche mese, con il contributo di qualche amico fasullo pronto ad approfittare della sua fragilità, per dilapidare il suo patrimonio. Nel momento più profondo della sua miseria, decise di trascorrere una ultima sera ubriacandosi, per poi togliersi la vita. Tuttavia, quella stessa sera accadde un evento bizzarro. Un uomo, anch’esso alterato dal vino, si interessò degli affari suoi, e Nico, ormai deciso a far di quella sera la sua ultima, decise di raccontarglieli. Sentita la sua storia, l’uomo aggrottò le spalle con disinteresse e commentò: «Beh, cenere a cenere, no?»

Nico ovviamente andò su tutte le furie, e picchiò violentemente l’uomo davanti a tutti gli avventori di quel decrepito locale, che non avevano alcuna intenzione di fermare il diverbio, per loro un ottimo intrattenimento. Quando ebbe soddisfatto la sua ira, abbandonò l’uomo stramazzato a terra, inerme e malconcio, pagò l’oste e si diresse verso l’uscita, diretto alla sua ultima ora. In quel momento, il suo avversario si rianimò improvvisamente. «Nico,» lo chiamò, per nome. Si girò, e vide che l’uomo a terra lo fissava con occhi che non parevano nemmeno suoi. «Va’ a Kyeros» comandò, con una voce stranamente autorevole. Poi, svenì.

Nico non riuscì a rifiutare l’ordine. Pospose le sue risoluzioni, e si diresse a Kyeros. Da questo punto della storia, il Patriarca ha voluto risparmiare i dettagli. Ma qui conobbe la storia di Agustus, e tanto lo affascinò che gli diede la forza di rialzarsi, e lo convinse ad utilizzare le capacità che aveva affinato per amore di Erica per una vita nuova. Si mise al servizio del precedente Patriarca di Ilion, e diventò un amministratore; infine, diventò egli stesso Patriarca, ed assunse allora il nome di Agustus.

Così, miei principi, ho rivalutato profondamente quest’uomo. Ho capito l’origine del suo carattere preciso e meticoloso, e della sua generale malinconia. Da parte sua, condividere la sua storia lo ha in qualche misura addolcito, e ne è nata una amicizia che sono sicuro continuerà anche dopo la mia partenza di qui.

D’altra parte, voglio che riflettiate sulla storia di questi due Agustus. In passato, vi ho spiegato che un eroe è colui che non rifiuta la chiamata del destino, seguendo il bene dovunque questo porti. Tuttavia, alle volte il fato non si propone a noi timidamente, dandoci l’opportunità di sottrarci al suo capriccio. Alle volte esso ci aggredisce con ferocia, spazzando via ogni piano che abbiamo fatto per la nostra vita, distruggendo ciò che amiamo, rendendo definitivamente irrealizzabili i nostri profondi desideri.

Questa, figli miei, è la essenza profonda della morte: il fermarsi o meno del nostro cuore non è che un accidente accessorio alla sua natura; noi possiamo morire e sopravvivere, come creature svuotate, incapaci di reagire alla nostra fine. Le storie dei due Agustus però ci dicono altro: che nel fondo della morte, appare sempre, a chi sa riconoscerla, una mano protesa, un’offerta di resurrezione, una vita nuova e maggiore di quella perduta.

Raccogliere questo invito, miei principi, è tutto ciò che all’uomo è richiesto per essere grande. Questo non fa di ciò una azione semplice, chiaramente. Sarebbe stato più facile per Marius lasciarsi morire: null’altro avrebbe dovuto fare che accasciarsi fra la polvere, e lasciare che le ferite o la febbre lo portassero al sonno eterno. Meno doloroso per Nico sarebbe stato portare a termine il suo progetto, gettandosi da una qualche scogliera, che vivere altri indefiniti anni senza il calore di Erica. Ma afferrare la mano che ci è offerta, accogliere il dono che ci è proposto nel fondo del nostro buio, questa è la via per sconfiggere la morte e vivere, non sopravvivere, oltre di essa; in questo mondo, così come nel prossimo, quando questa terra si sgretolerà ed i cieli cadranno.

Non credete, miei principi, che non vi sia così grande distanza tra la definizione di eroe che vi ho proposto da Knossos, e ciò che oggi vi descrivo? Non vi servirà fare molto, dunque, per essere grandi: ma vi servirà fare quel poco che è capace di dare alla nostra vita una qualità totalmente diversa.

Avrei voluto aggiungere qualche altro spunto; ma essendomi già dilungato più del solito, con questo vi saluto. Mi tratterrò con Agustus ancora qualche giorno, poi, alla luna nuova, partirò per Iacintus, che raggiungerò entro la seconda metà del mese. Lì starò circa una settimana, per poi continuare verso ovest e nord. Se mi scriverete quando riceverete questa missiva, dovreste potermi raggiungere a Bezier, nel Regno di Lozera.

Con amore profondo,

Martinius Wyss.


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