Acrilico su Tavola, 1984. Muzeum Historyczne, Sanoku. Immagine in alta risoluzione disponibile su Wikimedia Commons.
Attenzione: Questo commento contiene spoiler minori o riferimenti al mio racconto Nia, ovvero l’Ultimo Giorno di Sodoma. Se non lo hai letto, ti consiglio di leggere prima il racconto!
Due figure, un uomo ed una donna, si abbracciano disperatamente, affondando le membra l’uno nella carne dell’altro. La nudità e la posizione della coppia, può suggerire persino un atto sessuale. I loro corpi sono però emaciati, glabri, scuri, quasi cadaverici. Le ossa della schiena, le clavicole e le dita affiorano dalla carne, le vene rigano i loro corpi ed il loro capo calvo, che è più somigliante ad un teschio che ad una testa di una persona viva. In questa morte cristallizzata vi è però ancora un accenno di tenerezza: nel dettaglio meraviglioso della mano dell’uomo che abbraccia il fianco della donna, affondando leggermente nella carne, nel polpaccio della gamba a terra della donna, che sembra dolcemente sorretto dal contatto col pavimento, nella mano della donna che, aggrappandosi alla spalla dell’uomo, gli comprime lievemente la carne della schiena. Intorno, il mondo è morto: avvolto in una pallida polvere rossa, che non lascia sperare in alcuna traccia di vita.
Potreste essere perplessi dall’uso di un quadro del genere in un blog di ispirazione cristiana. Ma seguite il mio ragionamento ancora per un poco, e vi spiegherò questa scelta.
La nostra modernità ha sviluppato una certa insofferenza verso uno dei temi fondamentali del cristianesimo: il peccato. Ho letto persino chierici e teologi scrivere descrivendo la concezione preconciliare della fede come «appesantita dal concetto del peccato». Non voglio entrare troppo profondamente su questo tema, ma mi è utile per spiegare dove voglio arrivare.
Oggi, nella vita di fede come nella liturgia e nella riflessione teologica, ci soffermiamo a lungo sulla gioia, sull’Amore di Dio, sul trovare qualcosa di grande e di appagante nella fede. Ma se questi elementi sono sicuramente molto importanti, spesso rischiamo di dimenticarci un aspetto anche più fondamentale del rapporto con Dio.
Il rapporto con Dio, prima che una fonte di gioia, sicurezza, o di appagamento è un percorso di guarigione. Ma per riconoscere questa realtà dobbiamo capire cosa ci sia da guarire: e se il brevissimo passaggio sul peccato puntava a questo, l’opera di Beksinski mi sembra spiegarlo molto meglio di quanto possano farlo le mie parole.
Come la coppia del quadro, noi cerchiamo l’altro. Desideriamo disperatamente una connessione, una relazione, vogliamo farci «una sola carne» con una persona che crediamo di amare. Eppure non basta mai. Più cerchiamo di prendere l’altro per noi, più cerchiamo di aggrapparci al prossimo, più ci rendiamo conto che siamo soli, che questo sforzo non è che una copertura, una farsa. I corpi di Bekinski si stringono come la loro vita dipendesse da quella presa; le braccia si avvolgono e non lasciano andare, eppure l’abbraccio sembra fragile, sul punto di rompersi in qualsiasi momento, ed anche la apparente tenerezza fra i due non può nasconderci la realtà di ciò che sono: due cadaveri.
Nel cuore umano vi è una profonda e lacerante solitudine. Un dolore che la bibbia spiega con una «natura caduta». Il nostro sì a noi stessi, la scelta della nostra persona prima di ogni altra, ci rende inevitabilmente atomici, soli, incapaci di stabilire una connessione autentica, profonda e totalizzante; e questo ci essicca, ci rende infertili nello spirito quando anche non nel corpo.
Questo è il dramma umano, il centro del dolore e della solitudine che è in una qualche misura presente in ogni cuore, più o meno cosciente.
Accompagnando il mio racconto “Nia, ovvero l’Ultimo Giorno di Sodoma” con questo dipinto, Bekinski mi ha aiutato a dare un volto al dramma di Saul ed Evelynn – in particolare di Evelynn. Il racconto è nato come una critica all’intelligenza artificiale, ma poi mi sono trovato in qualche modo ad avere compassione per Eve, per la sua incapacità di raggiungere pienamente la persona che pensava di amare e che all’improvviso si è resa conto di non conoscere. Col senno di poi, avrei voluto dare più spazio al loro dramma, alle loro dinamiche, ma avrei dovuto o eliminare Nia dal quadro, o uscire dai paletti che mi ero dato per un racconto breve. In qualche modo però quest’opera mi ha dato l’opportunità di espandere quella narrazione.
Ciò detto, è ora che risponda alla domanda iniziale: perché la scelta di questa tavola è una scelta compatibile con un blog cristiano?
Perché graficamente, con crudezza e violenza, ci mette di fronte a quel dramma che ognuno di noi vive, e la cui guarigione è forse il più grande dei doni che Cristo ci offre: l’incapacità di amare, di metterci in relazione autentica con l’altro e con l’Alto.
A chi di voi partecipa alla messa vorrei offrire l’invito, la prossima volta che pronuncerete le parole «Kyrie eleison» di portare alla mente questo quadro e questi concetti. Oppure, potete farlo da soli, nell’intimo della vostra camera, un po’ come Saul nel mio racconto.
In conclusione, vi lascio con una traccia che mi è venuta alla mente scrivendo questo breve commento, Kyrie di Angelo Branduardi.
Egli [il Signore] verrà a noi come la pioggia di primavera che annaffia la terra.
osea 6:3
Post Scriptum
Non conoscevo Zdzisław Beksiński prima di incontrare quest’opera, cercando qualcosa che potesse accompagnare Nia. La sua storia è tragica quanto la sua produzione artistica, eppure la sua abilità tecnica altissima e la sua capacità di inquadrare il dramma dell’esistenza mi hanno affascinato.
Potete visionare tutte le sue opere nell’archivio a lui dedicato.
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