Olio su tela, 1595-1596. Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli. Immagine in alta risoluzione disponibile su Wikimedia Commons.
L’articolo a cui ho dedicato questa opera riflette in chiave anti-deterministica sul tema della coscienza e della libertà. La riflessione argomenta che la visione riduzionista-materialista implichi necessariamente una conclusione determinista e che non ci sia spazio, in un sistema del genere, per la libertà umana, per qualsiasi autentica esperienza morale, per qualsiasi genuina comprensione delle cose a cui consegua una decisione.
Sulla base di queste considerazioni, sostengo che la visione materialista sia insostenibile. La forza di questa argomentazione è data da un sentimento che qualunque uomo prova nella sua realtà, quasi quotidianamente.
Il filosofo danese Søren Kierkegaard lo chiamava angoscia. La consapevolezza, di fronte ad una scelta, che la decisione che prenderemo ha il potere di determinare delle conseguenze e di escluderne definitivamente delle altre.
L’Ercole al Bivio è incalzato da un lato dalla Virtù, dall’altro dalla Voluttà, entrambe in forma femminile. Lo sguardo di Ercole, che tormentosamente tende verso la Virtù, esprime pienamente il dramma della coscienza, impegnata a discernere continuamente e definitivamente, tanto nelle scelte che hanno un risvolto morale, come quella del semidio greco, quanto nelle scelte più normali e quotidiane, ma non per questo meno difficili.
È appunto lo sguardo dell’angoscia, la stessa angoscia che è testimonia a tutti noi, con forza, la libertà e la responsabilità di ogni nostra scelta. E questa è la ragione per cui ho scelto quest’opera.
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