Prima di presentarvi le Lettere di Martinius, desidero fare una premessa di carattere generale. Che ci crediate o no, infatti, ciò che andrete a leggerete non è mero frutto della fantasia. Ciascuno dei testi che qui riporto per voi tradotti, io lo lessi, chiaramente scritto in inchiostro su pergamena. Tutti provengono da ciò che ricordo essere un grosso pacco di fogli legati stretti con tre giri di filo, e racchiusi da sette sigilli di cera rossa e luminosa.

Non ho memoria su dove rinvenni il reperto: forse fu su una isolata spiaggia di un fiume o di un lago, in una cassa di vecchio rovere, il cui interno si era miracolosamente preservato dalla corrosione degli elementi. Forse ancora si trovava nelle ombrose profondità di un bosco, immerso nel profumo dei pini e delle resine, in una capanna abbandonata, oppure nascosto nel tronco cavo di una quercia secolare da chissà che peregrino in fuga. Potrei averlo trovato in una grotta nascosta e angusta, una piaga sul fianco dei vecchi e silenziosi giganti che chiamiamo montagne. Oppure, nulla di tutto ciò: a meglio pensare gli scritti forse mi furono venduti per pochi spiccioli da un vecchio rigattiere, incontrato per caso in un borgo di mare.

Più sforzo la mente, più questo dettaglio mi sfugge, e cresce in me la sensazione paradossale di aver rinvenuto i testi in un luogo dove non ho memoria di essere mai stato, e che pure sento di conoscere bene. Questo dettaglio non è forse nemmeno di particolare importanza; i manoscritti potrebbero in effetti verosimilmente provenire da uno qualsiasi dei luoghi che ho immaginato, e pure da tutti questi luoghi assieme.

Ricordo che quando sciolsi i sigilli e disfeci lo spago per indagare il contenuto di quel voluminoso codice, ne fui incredibilmente sorpreso. La lingua che mi trovai a leggere non corrispondeva ad alcuna che io conoscessi; persino l’alfabeto era oscuro e sconosciuto, e non rassomigliava a nulla che avessi mai visto; né al latino, né all’ebraico, né all’arabo, e neppure a qualsiasi alfabeto asiatico. Provai la forte sensazione, che capisco essere difficile da giustificare, che quelle lettere non solo non potessero appartenere ad alcuna delle lingue che conoscevo, ma neppure a qualsiasi altra lingua esistente. Eppure, e so che non vi sarà facile credervi, in qualche modo, ne compresi in maniera del tutto naturale il contenuto, ed esso mi parve non meno distante dal nostro mondo e dal nostro tempo di quanto non lo fosse quel bizzarro idioma.

In quel fitto codice era contenuto ogni genere di scrittura: appunti storici, racconti e miti, testi religiosi ed escatologici, e persino una lunga raccolta di epistole. Ciascuno di questi parla di paesi e che non sembrano esistere in alcun atlante di qualsivoglia epoca, e racconta di eventi che, certamente, non sono mai accaduti: le creature ivi descritte, ed i popoli che vengono menzionati, eludono ogni bestiario ed etnografia. Persino il mondo in cui tutto ciò che è contenuto in questo codice si svolge non sembra il nostro, ed è chiamato Eidoron. Ancora una volta però mi sono trovato a percepire una assurda famigliarità con ciò che in questi documenti era riversato, come se i luoghi, le genti, e gli eventi, per quanto non corrispondessero a nulla di esistente, in qualche modo mi fossero conosciuti.

Ho la strana convinzione che tutto quanto lessi fosse comunque straordinariamente reale: si tratta probabilmente di tempi prima del tempo, e di luoghi fuori d’ogni luogo; di genti e di creature che, non visti, sono più veri di ciò che è quotidianamente innanzi ai nostri occhi. Perché vi sono mondi nel Mondo, e storie nella Storia, che l’ingegno degli studiosi non può mai capire, ma che per un cuore puro sono tanto naturali da vedere quanto lo è respirare.

E così ogni riga che leggevo, scriveva in me con tanta potenza da consumarsi, e più procedevo più l’inchiostro spariva, e la carta stessa mi appariva sbiadire e mutare in polvere. Nulla di quel complesso codice è sopravvissuto.

Non credete che non capisca la assurdità di questa storia, e che non possa prevedere la vostra difficoltà a credervi. Io stesso cercai per anni di rinvenire quei perduti documenti, perché, certo della loro esistenza come lo sono di respirare, non mi potevo capacitare di come fossero semplicemente spariti, rimasti solo nella mia mente.

Certo la maggiore parte di voi mi riterrà un ciarlatano, oppure un ubriacone, oppure ancora penserà che l’esperienza sia stata indotta da chissà che innominabile sostanza. Penserete che ciò che vi racconterò non sia che il risultato di una invenzione, o di un qualche abbaglio. Che i codici di Eidoron non siano mai esistiti realmente, e che non siano che frutto della visione di un folle.

Eppure sarà grande la mia ricompensa se anche uno solo di voi troverà conforto o ispirazione nel contenuto di queste pagine. Quando le leggerete, però, vi prego di non farlo con gli occhi o la mente. Leggete invece col cuore, poiché è dal cuore che queste righe sono uscite: la mente e la mano le hanno versate sulla carta, e ciò non può mai avvenire senza che le parole siano usurate e corrotte. Ma se nel vostro leggere adopererete il cuore, di certo ogni passaggio sarà da esso ripulito e ricomposto, e vi raggiungerà puro, così come ha raggiunto me.

Forse, potreste scoprire che ciascuna riga e ciascun concetto esisteva già in qualche luogo dentro di voi, ed aveva solo bisogno di essere rinnovato.

Le Lettere di Martinius

Fra i molti testi che ricordo del codice di Eidoron, ve ne è un gruppo che mi sta particolarmente a cuore. Si tratta di un epistolario, una raccolta di lettere, scritte da un certo Martinius ai membri della famiglia reale di un regno che chiama Aarburg: due principi, di nome Farwic e Malwic, ed il loro padre, il Re Arwic.

Martinius sembra essere un chierico, una sorta di monaco itinerante. L’uomo non è sempre stato un viaggiatore: sino all’inizio dell’epistolario, egli ha rivestito il ruolo di tutore e confessore per la famiglia reale di Aarburg, nonché di maestro nelle materie umanistiche, quali la teologia, la filosofia, le lettere e la morale.

Egli si trova in viaggio avendo ricevuto l’incarico di guidare una sorta di missione pastorale, che lo conduce attraverso l’intera Eidoron. Dai suoi scritti, traspare l’immagine di un uomo saggio, devoto e risoluto, ma segnato da una profonda nostalgia per il suo ruolo passato, per la sua terra, e per i suoi giovani allievi.

Rispetto agli altri avvenimenti raccolti nel codice, la storia di Martinius sembra avvenire in una epoca tarda; dove molta della storia di Eidoron si è già compiuta. Molti degli avvenimenti più importanti, di cui forse parlerò in futuro, sono già accaduti, e sebbene la storia di Eidoron sia lungi dall’essere conclusa, la pace abbraccia il continente da lunghi anni. Eppure una certa tensione sembra aleggiare sul continente: dalle parole di Martinius emerge un’irrequietezza latente, un’insoddisfazione verso lo stato delle cose.

Nei suoi viaggi, il monaco è spesso sconsolato dalla gente che incontra, in cui percepisce smarrimento, individualismo, disinteresse. Egli descrive un mondo che sembra aver dimenticato i forti ideali degli antichi, il profondo senso di appartenenza ad una Storia che trascende le cose.
Per contrasto, nell’affetto con cui Martinius scrive le sue missive, traspare una immagine di Aarburg profondamente diversa dal resto del continente: una sorta di isola, dove sopravvive la morale e la fede antica.

Martinius sembra avere delle capacità quasi profetiche: percepisce che anche Aarburg non sarà per sempre immune ai venti del cambiamento, che qualcosa di drammatico sta maturando nella storia di Eidoron, e che grave sarà il ruolo del regno in questi eventi. Progressivamente, egli capisce anche che il suo ruolo in questa storia non gli consentirà di fare mai ritorno alla sua terra amata: in vita, egli non vedrà mai più Aarburg.

Nonostante questo, le parole di Martinius sono parole di speranza e di fiducia. Infatti, mentre svolge con devozione il suo incarico, egli non abbandona mai il proprio ruolo di mentore. Così, in questo lungo epistolario, egli si rivolge con grande affetto ai suoi principi, e sfrutta gli avvenimenti che osserva per istruirli e prepararli al ruolo che li attende in questo futuro incombente.

In ogni momento, Martinius ha fede nella importanza del suo viaggio e delle sue parole, fiducia che il suo ruolo di insegnante sia parte fondamentale della grande storia che attende Aarburg. Egli appartiene a quella rara stirpe di uomini capaci di dissodare un campo che mai mieteranno; capaci di amare un futuro che ancora non conoscono, pronti a prendere parte a una Storia di cui non vedranno la conclusione.

Così io, leggendo le parole del monaco, sentii nei suoi confronti un qualche senso di subordinazione e ammirazione; sentii come ciò che scriveva, in un mondo così distante e alieno, fosse anche per me un prezioso insegnamento.

Le inquietudini che tormentano lo spirito del mondo di Martinius mi sembrano riflettere quelle del nostro tempo: come le genti di Eidoron anche noi siamo soli e centrati su noi stessi, eppure smarriti, privi di una meta e di uno scopo; non più memori del nostro ruolo, aneliamo ad una Storia nuova, eppure siamo terrorizzati dalla prospettiva di prendervi parte. Non vi è, per noi, alcun regno di Aarburg: nessuna terra promessa che sia salva dal buio, da cui possa cominciare la riscossa.

Forse però è proprio questo il punto: Martinius sapeva che non avrebbe mai più rivisto la sua terra, e forse, nel suo cuore, iniziava a chiedersi se Aarburg fosse qualcosa di più di un’idea, un sogno irraggiungibile: eppure non ha mai cessato di svolgere il suo ruolo per amore di essa e delle sue genti. Così noi possiamo, ed oso dire dobbiamo, prendere parte con coraggio ad una storia di cui non vedremo la conclusione, per amore della storia stessa, e dei personaggi che a noi seguiranno.

Questo, forse, può veramente vivificare il nostro vagare.

Amici, riporto dunque qui per voi le Lettere di Martinius. Possano essere nutrimento in questi tempi cupi, una luce per riscoprire quel luogo che, pur mai pienamente raggiungibile, è l’unico ove il nostro cuore può trovare veramente rifugio.

Lista delle Lettere

  1. Lavinium, la Città Candida
  2. Samara, Fiore del Deserto
  3. Knossos, Porta dell’Occidente
  4. Agata, Riflesso dell’Eterno
  5. La Luce che le Tenebre non possono Vincere
  6. Kyeros, La Città Risorta

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