Siamo davvero liberi e capaci di agire, pensare, conoscere e capire il mondo? Quali sono le conseguenze di una risposta affermativa o negativa a questa domanda? In che modo la nostra capacità epistemologica ed il nostro arbitrio, le facoltà di comprendere il mondo ed agire di conseguenza, dimostrano l’esistenza di una natura diversa dalla materia e dall’energia, che supera le leggi meccaniche della fisica? Riflettere sulla Coscienza, la Conoscenza e la Libertà ci rivela chi e cosa siamo.
In questo articolo riflettiamo su queste impegnative domande, cercando di raggiungere una risposta insperata sul fondo del pensiero riduzionista.
Indice
Il Determinismo come Genio Ingannatore di Cartesio
L’Uomo, a differenza di qualsiasi altra creatura a noi conosciuta, è in grado di capire, analizzare e descrivere con il proprio linguaggio e la propria ragione il mondo che lo circonda. Questa abilità, che chiamiamo capacità epistemologica, è qualcosa di tutt’altro che scontato, come non è scontato credere che questa comprensione sia genuina, affidabile, corrispondente al Vero. Non è scontato, e certamente non è facile dimostrare logicamente, che il mondo che percepiamo non sia in effetti completamente differente dal mondo così come è in realtà.
Sino alla metà del milleseicento, i filosofi della tradizione scolastica avevano fondato la fiducia nella nostra comprensione della realtà, nella nostra capacità epistemologica, sulla convinzione che la natura umana abbia una origine divina. Secondo la scolastica, che attinge largamente alla filosofia classica e alla filosofia stoica, la genuinità della comprensione umana va accettata sulla base di una misteriosa affinità ontologica con il Logos, la natura razionale di Dio. Il Logos, il Verbo, è la divina ragione logica che ordina e struttura il mondo naturale così come tutte le idee, e poiché l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, è naturale che egli comprenda la Creazione.
Questa concezione tuttavia non era soddisfacente per Cartesio, o René Descartes, il celebre matematico, scienziato e filosofo francese. Cartesio aspirava a rendere autonoma la conoscenza umana, costruendo una giustificazione della ragione umana interamente dal basso verso l’alto, utilizzando esclusivamente la logica razionale. Senza, dunque, ricorrere ad una interpretazione teologica della natura umana.
Cartesio riteneva che non possiamo essere certi della nostra esperienza sensibile, poiché sappiamo che la nostra percezione non può essere considerata affidabile in assoluto. Ad esempio, quando vediamo un ramo galleggiare nell’acqua, la rifrazione della luce fa apparire la parte inabissata come distorta: se non sapessimo di questo fenomeno, potremmo pensare che il ramo sia spezzato, laddove è integro. Estendendo questo esempio, Cartesio riteneva che non sia possibile sapere quante e quali delle nostre conclusioni empiriche siano drammaticamente falsate dalla nostra mancanza di conoscenza. Non è dunque sulla sola esperienza che possono poggiare le fondamenta della conoscenza.
Tuttavia, il filosofo andò oltre, e sostenne che non ci si possa fidare neppure del nostro pensiero. Un genio ingannatore, come lo esemplificò Cartesio, potrebbe intrappolarci in una prigione di illusioni, e convincerci di ogni genere di falsità: persino la matematica e la geometria potrebbero essere parte di queste illusioni. Cartesio però concluse che c’è una singola cosa di quale possiamo essere certi: la nostra esistenza come esseri pensanti. Questo perché dalla nostra capacità di pensare e porci dei dubbi, insomma dalla esperienza cosciente del pensiero, segue necessariamente la presenza di un agente che eserciti il pensiero stesso. Cartesio enunciò dunque la famosa massima Cogito, ergo sum: penso, dunque sono.
Fermandosi a questa enunciazione, tuttavia, Cartesio non aveva portato la parte distruttiva del suo ragionamento alla sua più estrema conclusione logica. Il suo pensiero ebbe un impatto così significativo perché innestato in un mondo intellettuale già ben disposto a credere nella consistenza ontologica del pensiero e pronto ad accettare di buon grado una dimostrazione razionale di questa idea. Oggi, tuttavia, lo scenario è diverso: uno scettico moderno non si farebbe scappare la non liceità della conclusione di Cartesio e facilmente obietterebbe che persino la sua conclusione finale potrebbe essere un artificio del genio ingannatore ipotizzato in premessa.
Ciò che per Cartesio era una preoccupazione di tipo metafisico, è infatti per molti pensatori moderni quasi una certezza scientifica. Già nel milleottocentosessantatre, il biologo evoluzionista Thomas Henry Huxley, scriveva così:
La coscienza non è altro che una funzione del cervello, una specie di prodotto secondario delle operazioni cerebrali che non ha alcun potere causale, ma che accompagna l’attività fisica della mente come il suono accompagna il battito della campana.
Huxley, così come molti suoi coevi e alcuni pensatori odierni, si convinse che non vi è alcun motivo per credere che l’esperienza del pensiero dimostri una qualche consistenza ontologica del pensiero stesso. In effetti, la coscienza non sarebbe che un epifenomeno del mondo fisico, causata da esso, e priva di proprio potere causale.
In questo articolo esploreremo le conseguenze di questa idea, che spesso non viene perseguita dai suoi proponenti sino alla sua logica conclusione, per a ricavare una risposta radicalmente differente.
Il Materialismo Riduzionista
Per capire meglio su cosa si fonda il ragionamento di Huxley, è necessaria una piccola digressione sul materialismo riduzionista, una corrente di pensiero che è stata progressivamente abbracciata da gran parte del mondo scientifico e in minor misura dal mondo filosofico.
La scienza moderna indaga il mondo naturale partendo dall’assunto che ogni fenomeno osservabile abbia una causa determinabile. Dato un sistema, dunque, cioè una porzione isolata di materia ed energia con una data configurazione iniziale, l’evoluzione di questo nel tempo è prevedibile e dipendente da meccanismi che possono essere descritti da formule matematiche. Ogni evento può essere studiato, ed è possibile descrivere il meccanismo che lo ha portato a verificarsi.
Per esempio, è possibile descrivere in maniera estremamente precisa il movimento di un corpo rigido in caduta, il flusso di un fluido in una conduttura, il comportamento di un gas in una macchina termica, o la dissociazione dell’acqua in funzione della legge di equilibrio chimico.
In verità, lo studio delle particelle subatomiche ha portato a scoprire fenomeni naturali che non rispondono a leggi deterministiche, ma appaiono casuali. Ciò però non significa però che i sistemi subatomici siano totalmente indeterminati. Certamente non è possibile determinare con esattezza la configurazione di questi sistemi in un dato istante date le condizioni a un istante di partenza, ma è possibile determinare un insieme di soluzioni con probabilità associate a ciascuna configurazione finale.
In sintesi, ogni fenomeno naturale da noi osservato sembra apparire determinato, nel mondo macroscopico, oppure casuale ma limitato da leggi di natura probabilistica, nel mondo subatomico.
Il pensiero materialista-riduzionista, che si è consolidato nel mondo scientifico ma anche filosofico a partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo, ma sopratutto nel ventesimo secolo e in tempi recenti, ritiene di poter estendere queste osservazioni all’intera esistenza. Questo perché secondo il pensiero riduzionista ogni cosa che esiste è o materia, o energia.
Difficile definire se questa ipotesi trovi una completa conferma nella nostra esperienza scientifica, perché nella ricerca e nella cultura accademica moderna l’ipotesi riduzionista è data praticamente come assioma e considerata valida a priori, a prescindere da ogni rilevazione dissonante. Quando sopraggiunge una evidenza dalla realtà che sembra contrastare questa idea, essa viene spesso frettolosamente razionalizzata con spiegazioni complessivamente insoddisfacenti, o semplicemente scartata.
Di questo genere è il trattamento riservato ai fenomeni cosiddetti paranormali: possessioni, apparizioni, esperienze di premorte, altre esperienze spirituali. Tutte queste testimonianze sono generalmente poco rispettate dal mondo intellettuale, e vengono solitamente liquidate aprioristicamente come fenomeni psicologici o addirittura truffe, spesso senza essere sottoposte ad una analisi seria e approfondita.
Nonostante questo, l’adozione del pensiero materialista-riduzionista non è che cresciuta, sia fra gli intellettuali, sia in minor misura nella cultura popolare.
Il problema della Coscienza
Vi è tuttavia una tremenda spina nel fianco di questa visione del mondo, e si tratta proprio di ciò che Cartesio, con il suo cogito ego sum, aveva individuato: l’innegabile esistenza della coscienza costituisce ancora oggi uno dei più grossi problemi per la visione materialista.
I problemi fondamentali che l’esistenza pone ad una visione riduzionista, sono due.
Il primo è di natura ontologica. Se tutto è materia ed energia, la coscienza deve essere materia ed energia, e dunque presente nello spazio e nel tempo e misurabile. Il riduzionismo moderno fa dunque coincidere la coscienza con le cosiddette onde celebrali, che altro non sono che movimenti elettrochimici nel cervello. In questo senso Huxley, così come citato in premessa, riteneva la coscienza solo un effetto del cervello, qualcosa comunque privo di potere causale.
Questo è però un chiaro esempio di quelle spiegazioni frettolose e insoddisfacenti citate in precedenza. È chiaramente possibile pensare a un complesso sistema elettromeccanico o elettro-biologico privo di esperienza cosciente: pensiamo a un computer. La natura del computer è sufficientemente spiegata dal susseguirsi meccanico della attivazione dei circuiti interni. Un sensore attiva una differenza di tensione, che a sua volta attiva delle componentistiche elettroniche, che a loro volta attivano dei led su uno schermo. Tutto questo può avvenire, e fortunatamente crediamo ancora che avvenga, senza che il computer abbia alcuna esperienza cosciente.
L’idea che la coscienza in qualche modo emerga spontaneamente da un meccanismo quando questo raggiunge un certo grado di complessità è assolutamente azzardata e ingiustificata, e lascia aperti degli interrogativi che appaiono insanabili.
Ad esempio, è naturale chiedersi quale sarebbe il livello minimo di complessità di un meccanismo per consentire una esperienza cosciente, o se la composizione del meccanismo – biologica piuttosto che inorganica, o wetware piuttosto che hardware, sia rilevante per l’emergenza della coscienza.
Queste domande non trovano, e certamente non possono trovare, alcuna risposta dal mondo riduzionista.
La natura ontologica della coscienza non è però il problema peggiore per il riduzionista. Molti sono propensi ad accettare la tesi che la coscienza sia un epifenomeno nonostante queste difficoltà.
Il problema più forte, che riguarda una funzione fondamentale della coscienza, è dato piuttosto da un concetto interno a essa: il libero arbitrio. Nella nostra esperienza cosciente, ciascuno di noi ha una forte intuizione di libertà. I nostri pensieri non ci appaiono certo casuali, ma nemmeno ci sembrano susseguirsi in una sequenza obbligata su cui non abbiamo controllo. Piuttosto abbiamo la sensazione di poterli governare, di poter scegliere se riflettere su uno o l’altro tema. Così come abbiamo la sensazione di poter commettere una o l’altra azione.
Tuttavia, questo è strettamente impossibile per un riduzionista: i fenomeni o sono determinati, o sono casuali, perché così si comportano materia ed energia. In effetti, il materialismo riduzionista è un sinonimo implicito del determinismo, ovvero l’idea che ogni atto sia determinato e che il libero arbitrio, fondamentalmente, non esista.
Esprimiamo in una coppia di sillogismi deduttivi questo pensiero, per comodità della nostra successiva analisi:
- Premessa 1: Tutto ciò che esiste è materia oppure energia;
- Assioma 1: Noi esistiamo;
- Conclusione 1: Dunque noi siamo materia ed energia.
E, a seguire:
- Premessa 3: Materia ed energia sono governati da leggi di natura deterministica o probabilistica;
- Conclusione 1: Noi siamo materia ed energia;
- Conclusione finale: Dunque noi siamo governati da leggi di natura deterministica o probabilistica.
Oggigiorno, la maggior parte degli scienziati, e direi delle persone con una istruzione scientifica di base, accetta l’intero primo sillogismo, così come la premessa tre. Tuttavia, generalmente, queste stesse persone non arrivano alla conclusione finale. Alcuni tuttavia la raggiungono, e finiscono per escludere l’esistenza del libero arbitrio.
La portata di questa conclusione, tuttavia, è grandiosa. Se è vera, non siamo realmente causa delle nostre azioni, dunque un agente attivo, ma bensì un effetto in una catena causale su cui non abbiamo controllo.
Ciò porta però a conseguenze logiche a dir poco drammatiche. In questo articolo, le seguiremo sino al loro estremo, attraverso tre filoni argomentativi: morale, cosmologico e infine epistemologico.
Gli esseri umani sono agenti morali
Ragioniamo, come primo argomento, sulle implicazioni morali di un mondo dove non esiste il libero arbitrio.
In primo luogo, se non siamo nulla di più che una complessa macchina biologica, il concetto di responsabilità è del tutto assurdo. Come può una macchina essere colpevole delle sue lacune, o meritevole dei propri successi? Per capire meglio questo concetto, valutiamo qualche esperimento mentale.
Immaginiamo che i freni di una automobile si rompano improvvisamente, causando la morte di una persona. Nessuna persona sana di mente mai immaginerebbe di chiamare malvagia l’automobile. Immaginiamo invece lo scenario secondo cui una persona, in un impeto di rabbia, ne colpisca a morte un’altra. Contrariamente al caso precedente, nessuna persona sana mancherebbe di condannare moralmente l’assassino.
Tuttavia, se la coscienza non è altro che un fenomeno meccanico, e più precisamente elettrochimico, governato da leggi su cui non abbiamo controllo, cosa la distingue qualitativamente dal sistema frenante della automobile? Così come questo, per un malfunzionamento, manca di frenare la macchina e causa la morte di una persona, così la coscienza, malfunzionando, manca di frenare la mano dell’assassino.
Facciamo un altro esempio, e immaginiamo questo scenario. Un operaio arrabbiato, sferra un pugno contro la delicata centralina di controllo di un macchinario. Questo macchinario ha un malfunzionamento grave e l’operaio finisce ucciso dalla sua stessa macchina.
Cosa ha causato la morte dell’operaio? In prima analisi, indicheremo come causa proprio il pugno dell’uomo.
Immaginiamo invece che lo stesso uomo arrabbiato colpisca, anziché la macchina, un proprio collega e che questi reagisca con tanta violenza da ucciderlo. Certamente, se l’operaio non avesse colpito il collega, le cose sarebbero andate diversamente, ma chi identificherebbe il pugno dell’uomo come la causa della propria morte in questa situazione?
Ancora una volta le nostre intuizioni fondamentali appaiono insensate in una ottica riduzionista materialista. Se, in effetti, uomo e macchina sono governati in ultima istanza dalle stesse leggi, dovremmo considerare i due scenari fondamentalmente equivalenti. Così come nel primo esempio è il pugno a causare il malfunzionamento software della macchina, così nel secondo esempio è il pugno a causare il malfunzionamento della coscienza dall’assassino.
In aggiunta dobbiamo considerare che, in uno scenario reale, nel caso in cui una macchina ferisca una persona è ragionevole che venga valutata l’eventuale responsabilità del costruttore della macchina. In caso di omicidio, invece, sarebbe piuttosto assurdo implicare penalmente gli educatori o i genitori del criminale!
Questo suggerisce che, nel contesto di una indagine morale, l’intervento umano sia il punto terminale. Insomma la causa prima della catena causale che conduce al male morale, è sempre un unico atto umano. Teniamo a mente questa osservazione, che sarà fondamentale per le conclusioni finali.
Continuando la nostra riflessione morale, dobbiamo osservare che alcuni dei comportamenti criminosi che consideriamo più moralmente aberranti sono interamente fondati sull’idea del libero arbitrio.
Per esempio, il crimine di stupro è considerato un crimine esclusivamente in quanto implica la violazione della libertà dell’altro. Non è l’atto in sé, ovvero il rapporto sessuale, a essere considerato moralmente aberrante, e nemmeno la violenza dell’atto, che al più è peggiorativa. Lo stupro è infatti tale anche quando viene commesso su una vittima in stato di incoscienza o coscienza alterata, senza alcuna violenza implicata.
Nessun uomo esiterebbe a condannare moralmente, per esempio, una persona che approfitti di una donna svenuta per palpeggiarne il corpo. In effetti un simile atto è punito severamente in tutto il mondo civile, eppure non implica alcun genere di violenza. L’atto è considerabile malvagio esclusivamente in virtù della violazione della libertà della persona di scegliere coscientemente con chi condividere la propria intimità e il proprio corpo. Potremmo considerare come alla rilevanza morale di questo crimine contribuisca il particolare rilievo morale attribuito alla sessualità, ma, in ogni caso, nessuna di queste considerazioni ha alcun senso in un mondo riduzionista.
Anche procurare deliberatamente una alterazione di coscienza a una altra persona, per esempio somministrandole delle droghe, è considerato un crimine tremendo in tutto il mondo civile, pensiamo ad esempio alle così dette droghe dello stupro.
Eppure in un mondo totalmente materialista, somministrare una simile sostanza non è diverso da somministrare un qualunque altro alimento o stimolo: si tratta solo di un qualcosa che porta la macchina-vittima a sviluppare un processo biochimico diverso nel proprio cervello. Del resto, questo è esattamente l’effetto che, in un mondo riduzionista, produce una conversazione convincente: la differenza è solo quantitativa, non qualitativa.
Infine, non dimentichiamo: in un simile contesto neppure il perpetratore di questi crimini ha alcuna scelta su ciò che sta facendo! La condanna morale di queste cose, da parte di un riduzionista, è dunque una doppia assurdità: si tratta di una condanna di un non-agente per un non-crimine.
In effetti, molti dei pensatori che negano il libero arbitrio, coerentemente negano la consistenza ontologica della legge morale. In altre parole, considerano effettivamente assurdo parlare di colpe o responsabilità. Ovviamente, però, nessuno di questi pensatori suggerisce l’abolizione delle carceri, e in generale delle pene detentive. È vero, affermano, che non vi è alcuna dimensione morale reale nel crimine, ma per questioni meramente pratiche, insomma per il benessere e la stabilità della società, è opportuno detenere coloro che commettono crimini.
Questa linea di pensiero ha conseguenze allarmanti e addirittura distopiche. Una delle idee ricordate con più infamia degli inizi del novecento, è la antropologia criminale, l’idea promossa da Cesare Lombroso secondo cui dall’analisi fisiognomica e clinica di un individuo, sarebbe possibile risalire alla natura criminosa di una persona. Secondo Lombroso, tramite questi studi, sarebbe stato possibile implementare protocolli educativi o detentivi prima ancora che i crimini potessero essere commessi.
Ovviamente gli studi di Lombroso sono ricordati come una pseudoscienza, e l’uomo moderno prova generalmente un disgusto morale di fronte all’idea di punire un altro uomo per un crimine che non ha mai commesso.
Tuttavia se rigettiamo il valore punitivo della prigionia, sostenendo che questa abbia comunque un vantaggio pratico sufficiente a giustificarla, idee simili a quelle di Lombroso perdono ogni illegittimità sul piano morale. Se la prigionia è giustificata come mezzo di rieducazione e tutela della società, pur in un contesto dove responsabilità e punizione sono concetti inesistenti, perché non applicare simili protocolli prima che l’atto venga commesso?
L’effetto sul soggetto che subisce la condanna sarebbe il medesimo, ma con il vantaggio di impedire l’effettiva concretizzazione del danno.
Se il libero arbitrio esiste, non è possibile determinare a priori se un individuo commetterà o meno un crimine. Se non esiste, tuttavia, allora è semplicemente un problema di accuratezza. In questo secondo scenario è totalmente plausibile l’idea di allenare, partendo dai dati clinici, scolastici, o del comportamento on-line di tutta la popolazione, una potente intelligenza artificiale in grado di stimare la propensione di ciascuno a commettere crimini.
Poiché nemmeno il processo giudiziario ordinario può garantire la certezza di errori di giudizio ai danni di persone innocenti, sarebbe sufficiente che la nostra intelligenza artificiale garantisca un livello di errore comparabile a quello giudiziario per rendere legittimo un simile protocollo.
In conclusione, è importante considerare che tutti questi ragionamenti non dipendono dal tipo di modello morale che si adopera: sono validi sia in un contesto di morale assoluta, sia in un contesto relativista. Se l’essere umano non è agente morale, non è possibile alcun giudizio morale, a prescindere dal tipo di etica che si riconosce.
Tuttavia, l’uomo è un agente morale. Alla luce dei ragionamenti sopra esposti, e in accordo con le nostre intuizioni più fondamentali, possiamo affermare in maniera del tutto legittima questo fatto come una verità assiomatica, tanto vera quanto lo sono gli assiomi indimostrabili della geometria o della matematica.
L’Universo non può essere un nastro registrato
Richiamiamo ora le premesse uno e tre dei sillogismi di partenza. Da queste premesse segue una terza conclusione, che ora rendiamo esplicita:
- Premessa 1: Tutto ciò che esiste è materia oppure energia;
- Premessa 3: Materia ed energia sono governati da leggi di natura deterministica o probabilistica;
- Definizione 1: Un sistema è governato da leggi di natura deterministica o probabilistica, quando la configurazione in un dato istante è un risultato valido della applicazione di queste leggi alla configurazione all’istante precedente;
- Conclusione 3: Dunque in ogni istante la configurazione di tutto ciò che esiste, cioè l’universo, è risultato dell’applicazione di leggi deterministiche o probabilistiche alla configurazione dell’istante precedente;
A questa conclusione arrivò il matematico Pierre-Simon de Laplace, formulando un interessante esperimento mentale utile a meglio spiegarne le implicazioni.
Immaginiamo, seguendo l’esempio di Laplace, che esista una entità intelligente, o con le parole del matematico, un “demone”, capace di comprendere perfettamente la configurazione in un dato istante dell’intero universo, con un infinito grado di precisione. Questa stessa creatura sarebbe inoltre perfettamente edotta su tutte le leggi che governano le cose di natura.
Questa entità immaginaria sarebbe teoricamente in grado di applicare le leggi a ciascuna particella dell’universo e calcolare con precisione la configurazione successiva, o la precedente. Il demone dunque sarebbe in grado di calcolare ogni istante passato o futuro.
In verità, il demone di Laplace ha due grossi punti deboli. In primis, esistono processi naturali irreversibili, cioè che sembrano portare a una perdita di informazione. Dunque il nostro demone non potrebbe con assoluta precisione calcolare a ritroso il passato. Inoltre, la scoperta del comportamento probabilistico dei quanti implica che alla configurazione in un dato istante dell’universo non segua necessariamente uno stato successivo, ma piuttosto un assieme di stati associati a diverse probabilità.
Tuttavia questo non cambia nella sostanza il problema a cui stiamo, lentamente, arrivando.
Immaginiamo, ora, di porre il nostro Demone di Laplace agli albori dell’universo.
La moderna fisica teorica suggerisce un universo delle origini piuttosto bizzarro, dove i fenomeni classici della fisica macroscopica non esistevano, e i fenomeni di tipo quantistico risultavano dominanti. In questo periodo dunque il ragionamento esposto attraverso la conclusione tre potrebbe essere discutibile. Poiché chi scrive non ha le competenze per affrontare il tema, a scanso di equivoci poniamo il nostro demone a circa quattrocentomila anni dal Big Bang.
In questo momento, il nostro universo è ancora estremamente denso e caotico, composto quasi interamente da elio e idrogeno, sparsi più o meno uniformemente nello spazio. Nessuna struttura complessa è ancora formata, ma il tutto inizia a essere piuttosto descrivibile dalle leggi fisiche per come le conosciamo. I fenomeni quantistici iniziano ad avere una incidenza notevolmente ridotta rispetto ai fenomeni della meccanica classica.
Osservando questa configurazione primordiale, il nostro demone dovrebbe essere in grado di calcolare ogni istante successivo sino a oggi. Ammesso, e non concesso, che i fenomeni indeterministici del mondo quantistico abbiano nell’universo post-inflazionario ancora un impatto significativo sul mondo macroscopico, il demone sarebbe comunque in grado di prevedere quanto meno un set di universi possibili, presumibilmente con minime differenze.
Con un paziente calcolo, il demone potrebbe dunque prevedere ogni singolo evento accaduto nell’universo, ed ogni possibile configurazione. In sostanza, il demone potrebbe svelare tutta l’informazione mai espressa: la configurazione di tutte le galassie, il nostro processo evolutivo inclusa dunque la nascita e la morte di ogni individuo e il nostro codice genetico, il testo della Bibbia, della Divina Commedia, dell’Amleto, la ricetta adoperata dalla nonna per lo scorso pranzo di natale, così come la Dichiarazione di Indipendenza e la Carta dei Diritti Umani, l’attacco alle Torri Gemelle e il bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki, e via dicendo.
Ma da dove origina tutta questa informazione? Non certo dal demone, che è un semplice espediente mentale. Potremmo pensare che questa informazione, in qualche modo, emerga dalle leggi fisiche. Tuttavia questa visione ha due problemi.
In primo luogo, questa idea implica che le leggi fisiche abbiano una consistenza ontologica propria, che siano dunque entità prescrittive e non meramente costrutti descrittivi prodotti dall’uomo. In altre parole, le leggi fisiche dovrebbero essere non semplici descrizioni di comportamenti che emergono spontaneamente dall’interazione di varie particelle con diverse proprietà fondamentali, ma piuttosto entità esistenti in una qualche forma, con un potere prescrittivo di qualche tipo sul mondo naturale. Ma sostenere una tesi di questo tipo è impossibile per un materialista, perché implica una forma di esistenza diversa da materia ed energia.
In secondo luogo, questo contraddice ciò che sappiamo sulle leggi fisiche. Tutte le leggi fisiche che abbiamo ricavato sono descrivibili con funzioni matematiche relativamente semplici: non si tratta di leggi algoritmiche. In altre parole, l’informazione contenuta nelle leggi in sé è estremamente bassa, e non possiamo attribuire alle leggi alcun potere generativo in questo senso.
Se volessimo sostenere che questa massiccia quantità di informazione origini invece dalla casualità quantistica, avremmo un problema anche più grave. Ci troveremmo a sostenere che dal puro caso possa emergere spontaneamente una enormità di informazione ordinata, ma questo è certamente impossibile.
Non possiamo, similmente, fare appello ai così detti “fenomeni emergenti”, come la vita, l’evoluzione, poiché in una visione materialista-riduzionista anche questi non sono che strumenti descrittivi del comportamento della materia complessa. Non sono esistenze con un potere causale e, dunque, non possono contenere o aggiungere informazione ad un sistema.
L’unica conclusione realmente a nostra disposizione è che la nostra melassa primordiale di elio e idrogeno, esistente circa quattrocentomila anni dopo il Big Bang, contenesse già tutta l’informazione che sarebbe mai stata disponibile nell’universo. Insomma siamo costretti a credere che la configurazione primordiale dell’universo, lungi dall’essere una caotica melassa puramente casuale, fosse invece un complesso codice.
Un codice che le leggi fisiche hanno progressivamente svelato in informazione ordinata, incluse le più belle opere poetiche, letterarie, musicali e artistiche dell’umanità. Tutte queste cose sarebbero state codificate in quel mare disordinato di atomi. Questo, a sua volta, sarebbe puro e completo frutto del caso, giacché il materialista non può certamente accettare l’idea che una mente di qualche tipo abbia deliberatamente configurato il caos primordiale in tale maniera.
È difficile apprezzare pienamente l’assurdità di una simile conclusione, e tuttavia non abbiamo ancora raggiunto l’abisso dell’assurdo deterministico.
Il riduzionismo annulla la conoscenza
Nel fondo di questa fossa, di cui già abbiamo apprezzato l’implicazione morale e cosmologica, giace una ben più grave implicazione epistemologica, che ci riporta all’inizio dell’articolo e alle riflessioni di Cartesio.
Se la nostra volontà non è altro che una illusione, e la nostra coscienza non è che un epifenomeno delle reazioni chimiche del cervello, allora persino la nostra riflessione attorno a questi fatti è un atto necessario, fuori dal nostro controllo, e qualsiasi conclusione a cui arriveremo è altrettanto inevitabile. Non possiamo sostenere che non vi sia arbitrio nelle nostre azioni e, in qualche modo, preservare l’arbitrio nei nostri pensieri.
In questo scenario, la nostra percezione della realtà non potrebbe avere alcuna pretesa di verità: ciò che crediamo essere vero dipenderebbe solo dalla configurazione momentanea del nostro cervello, anziché da una comprensione genuina del mondo.
Ci troveremmo insomma intrappolati in un insuperabile velo di Maya, dalla quale però nessuna ascesi filosofica ci potrà mai liberare, in quanto essa stessa non sarebbe che un’altra parte dell’assurdo meccanismo. Chiusi in una perversa e diabolica versione della Caverna di Platone, siamo costretti a guardare le ombre sul muro, ma a differenza dei protagonisti del mito originale, quand’anche con la forza della ragione riuscissimo ad affiorare dalla terra per vedere la luce del sole, questo viaggio non sarebbe che una altra delle ombre sul muro, dal quale non ci siamo mai distaccati in primo luogo.
Qualcuno ha descritto la condizione umana in un mondo deterministico come quella di marionette che vedono i fili, ma questo non arriva a cogliere la profondità di questa tragedia epistemologica: perché in questo scenario persino i nostri occhi e la nostra mente sono nelle mani del marionettista, ed il nostro angosciare al disvelarsi del nostro stato di marionette, non è anche esso altro che frutto della sua impersonale e diabolica volontà.
L’angoscia a cui il determinismo inevitabilmente ci conduce è dunque aggravata da un sentimento di disperazione intellettuale, poiché ogni riflessione su queste illusioni diventa priva di un reale significato. Anche l’atto di interrogarsi sul vero e sul falso appare sterile: se siamo marionette inconsapevoli, allora persino il desiderio di conoscere la verità è solo un’ombra proiettata sul muro della nostra “caverna diabolica”.
Eppure è proprio sul fondo di questo abisso che possiamo trovare una luce in grado di illuminare radicalmente di senso la nostra volontà di pensare e conoscere la realtà, riportandoci forse alla sana interpretazione che, già mille anni fa, il pensiero scolastico dava per assodata.
L’abisso dell’assurdo determinista come prova della Luce
Se siete giunti a questo punto dell’articolo, probabilmente non siete di buon umore.
L’insensatezza e la assurdità di un mondo senza libertà sono fonte di angoscia e desolazione per qualsiasi mente pensante.
Tuttavia, sul fondo di questo abisso è possibile trovare proprio quella certezza a cui ambiva Cartesio, e che può radicalmente illuminare e fondare la fiducia degli uomini nel proprio pensiero.
La nostra prima premessa, in effetti, non è affatto un assioma, e neppure la terza. Non si tratta di intuizioni fondamentali di ogni essere umano, ma semplicemente di proposizioni dimostrate induttivamente tramite un buon numero di evidenze empiriche. Tuttavia questo tipo di proposizione, semplicemente non ha la forza probatoria per sostenere la assurdità delle conclusioni a cui siamo arrivati.
Tuttavia, poiché il nostro ragionamento è interamente deduttivo, le premesse conducono necessariamente alla conclusione. Ma poiché gli assunti di partenza non possono sostenere simili conclusioni, allora fra questi vi deve essere un errore.
In altre parole, l’intero ragionamento diventa una dimostrazione per assurdo della falsità di una delle nostre premesse.
Riepiloghiamo quindi la nostra catena logica, e traiamo la nostra ultima conclusione.
- Premessa 1: Tutto ciò che esiste è materia oppure energia;
- Assioma 1: Noi esistiamo;
- Conclusione Intermedia 1: Dunque noi siamo materia ed energia.
- Premessa 3: Materia ed energia sono governati da leggi di natura deterministica o probabilistica;
- Conclusione Intermedia 1: Noi siamo materia ed energia;
- Conclusione Intermedia 2: Dunque noi siamo governati da leggi di natura deterministica o probabilistica.
- Definizione 1: Un sistema è governato da leggi di natura deterministica o probabilistica, quando la configurazione in un dato istante è un risultato valido della applicazione di queste leggi alla configurazione all’istante precedente;
- Conclusione Intermedia 3: Dunque in ogni istante la configurazione di tutto ciò che esiste, cioè l’universo, è risultato dell’applicazione di leggi deterministiche o probabilistiche alla configurazione dell’istante precedente;
- Problema 1: In accordo con le conclusioni due e tre, l’uomo non può essere agente morale. Ma l’uomo è agente morale.
- Problema 2: In accordo con la conclusione tre, l’universo contiene sin dal principio tutta l’informazione ordinata mai manifestatasi. Ma ciò è impossibile se la premessa uno è vera, perché l’universo del principio dovrebbe aver avuto una configurazione casuale.
- Problema 3: In accordo con la conclusione due e tre, non possiamo nemmeno trarre una libera conclusione sulla veridicità o meno di questi ragionamento, giungendo ad un paradosso epistemologico secondo cui la stessa conoscenza è, in verità, una illusione, la cui veridicità è indimostrabile. Ma se questo fosse vero, l’intero processo filosofico sarebbe assurdo, e ogni conclusione tratta sarebbe priva di significato.
- Ragionamento ad Assurdo: Poiché le conclusioni due e tre conducono ad assurdi morali, cosmologici ed epistemologici, una delle premesse è falsa. Abbiamo poche ragioni di dubitare della premessa tre, che è corroborata con una ricchissima abbondanza di osservazioni naturali, tuttavia abbiamo forti ragioni per dubitare della premessa uno, in quanto abbiamo esperienza diretta, continua e abbondante di un fenomeno, la coscienza, che come spiegato in incipit appare poco convincente ridurre a mera materia ed energia.
- Conclusione Finale: Dunque vi è almeno una terza forma di esistenza, che non è qualificabile né come materia, né come energia, e che non è governata da fenomeni di natura deterministica o probabilistica.
Questa forma di esistenza, che chiameremo spirito, è necessaria a giustificare la libertà umana. Come abbiamo argomentato, rifiutandone l’esistenza, che è già di per sé un intuito tanto forte da poter essere considerato quasi assiomatico, si deve necessariamente ammettere la infondatezza dei nostri giudizi morali, la assurdità di un universo casuale eppure inevitabilmente destinato all’ordine sin dal suo principio, nonché la fondamentale impossibilità della conoscenza.
Ciò detto, dalla funzione di questo spirito e dalle argomentazioni con cui lo abbiamo definito, seguono alcune proprietà interessanti.
Lo spirito, secondo i nostri ragionamenti:
- Deve essere immateriale, poiché diversamente risponderebbe alle leggi che governano la materia;
- Deve essere non spaziale, poiché diversamente competerebbe con la materia per la propria collocazione nello spazio, e sarebbe in qualche modo osservabile;
- Deve essere personale, cioè dotato di ragione, autocoscienza e capacità morale e dunque libero, cioè il suo comportamento non può essere determinato se non da sé stesso;
- Durante la nostra prima riflessione, osservando come le catene causali in ambito morale, abbiamo notato come queste si interrompano necessariamente sulla volontà di un essere umano: lo spirito deve essere dunque una causa efficiente prima, cioè il suo agire non può essere conseguenza di cause precedenti;
- Deve essere dunque potente, nella misura di poter influenzare in una qualche misura materia o energia al fine di attuare la propria volontà, poiché diversamente il comportamento del nostro corpo, che è materia, non potrebbe che essere determinato dalle leggi naturali, ma la nostra esperienza è che il nostro corpo si comporta in accordo alla nostra coscienza;
Lo spirito, infine, per poter rispondere a queste particolari caratteristiche, deve essere qualcosa di impossibile da descrivere completamente con il linguaggio della ragione. Questo perché se fosse completamente descrivibile nella sua natura e nella sua fenomenologia, sarebbe determinabile e, dunque, non potrebbe essere libero.
Lo spirito deve quindi essere in sostanza un mistero, non nel senso di non conosciuto, ma nel senso di non conoscibile. Eppure questa entità deve poter conoscere e capire il mondo, insomma avere un chiaro accesso epistemologico a esso, per essere realmente libera.
Le caratteristiche che abbiamo delineato hanno una assonanza significativa con la causa prima oggetto del famoso e molto discusso “Argomento Cosmologico di Kalam” del dr. William Lane Craig, che invito i lettori ad approfondire, e su cui sicuramente scriveremo in futuro.
Nel frattempo, però, vorremmo considerare questo. La causa prima dell’argomento di Kalam è ciò che chiamiamo Dio, e in effetti, questi ragionamenti ci riportano a uno dei più fondamentali assunti del pensiero scolastico, proprio quell’assunto citato in principio e da cui Cartesio desiderava svincolarsi.
L’uomo è una creatura libera non solo nelle azioni, ma nel suo pensiero e nella sua conoscenza. È in grado di ragionare, spiegare e conoscere le cose, le quali appaiono straordinariamente ordinate da leggi che condividono la stessa razionalità che è innata agli uomini.
Fu già nel mondo greco, per la verità, attraverso il pensiero di Eraclito e, ben più tardi, degli Stoici, che si intuì questa particolare e meravigliosa verità. I greci osservarono come le cose di natura fossero almeno in parte descrivibili dal pensiero umano, governate e sostenute da regole che apparivano razionali. Capirono insomma come vi fosse una apparente ragione nelle cose, che appariva in qualche modo accessibile alla ragione del pensiero umano, e questa fu identificata col concetto di Logos, che in greco significa parola.
È però nel cristianesimo che la ragione delle cose e la ragione umana trovano la loro piena unificazione in una natura divina. Nel celebre Inno al Logos, che apre il Vangelo di Giovanni, il Logos è identificato con Dio, lo stesso Dio creatore di tutte le cose che nella genesi crea l’uomo a sua immagine e somiglianza, e che in Gesù di Nazaret si fa carne, uomo come ogni altro uomo.
La fiducia nella libertà e nella genuinità delle nostre capacità epistemologiche, insomma nel rapporto intimo tra la “ragione nelle cose” e la ragione umana, trova quindi piena giustificazione nella fede cristiana. Il Logos non è semplicemente qualcosa a cui l’uomo può fortuitamente accedere, ma piuttosto una entità con cui condivide la sua fondamentale natura.
Concludiamo dunque, nello spirito di questa pubblicazione, con queste parole dal Vangelo di Giovanni e dalla Genesi.
Una profonda riflessione su questi versetti vale ben più dell’intero articolo.
Giovanni 1 1-3
In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
Genesi 1 27 e 2 19
[e] Dio creò l’uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò.
[… ] Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome.
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